Benedetta (2021) Like a (Blessed) Virgin, la santa di Paul Verhoeven





Ci sono arrivato, anche se con tre anni di ritardo ma sono riuscito finalmente nel vederlo. Incredibile come Verhoeven, alla sua età e con tutto il passato che lo riguarda, non sia mai venuto meno all'etica del suo cinema senza mai condonare o accettare compromessi di sorta (persino quelli di Hollywood). Non si rimane impassibili quando un cineasta come Verhoenen mischia: sacro, profano, fede, blasfemia, castità, perversione, attualità, antichità, sante, puttane, violenza e candore, persino in un film che parla essenzialmente di suore. Non mi stupisce persino che il suo braccio destro alla scrittura, Gerard Soeteman, si sia allontanato (togliendo pure il suo nome dai titoli di coda) reputando la pellicola troppo declinata al lato sessuale, ma neanche che la scrittrice del libro da cui è tratto il film (Judith C. Brown autrice di "Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento") abbia testualmente definito: - Paul Verhoeven e David Birke hanno scritto un copione fantasioso e affascinante che esplora l'intersezione tra religione, sessualità e ambizione umana in un'epoca di peste e fede. - parole, che attestano in primis la potenza strutturale del film.

Benedetta è divertente, provocatorio e sicuramente dividerà il pubblico. A parte la sua blasfemia, alla fine sono quei momenti familiari e spontanei di Verhoeven, dimostrati principalmente nei suoi primi lavori prima della sua fama a Hollywood, che rendono davvero Benedetta un'esperienza abbagliante da vivere. A parte gli espedienti più ovvi per scioccare, Benedetta è in sostanza la storia di sopravvivenza di una donna in un mondo avido e malvagio dove le religioni portano conforto e dolore in egual misura. In realtà apprezzo la decisione di Verhoeven di attenuare lo stile e concentrarsi invece sul raccontare la storia della vita di una donna nel suo modo più che tutta la catechesi in generale.



Valore aggiunto poi le location italiane di Bevagna, Montepulciano e Val d'Orcia a cui vanno annesse quelle francesi nelle abbazie di Silvacane e Le Thoronet, tutte sfruttate al meglio tra interni ed esterni ad opera della fotografia di Jeanne Lapoirie e delle scenografie di Katia Wyszkop. Il contesto storico non viene mai meno sin dai primi minuti, riportando la dura vita del 1600 tra: crisi dell'imminente ricambio economico, lotte intestine di natura sia civile che religiosa (le diverse eresie come flagellanti e chi ne ha più ne metta), il ritorno dell'onnipresente peste e infine, parte più importante, la centralità dell'aspetto religioso nella vita della gente e tutto questo viene ricreato in modo certosino (ricordando quasi "Il nome della rosa") qui in Italia.


Essendo la versione di Verhoeven dell'universo di The Devils, Benedetta è in definitiva una storia femminile, anche se raccontata in un modo quasi comico/grottesco con uno sguardo maschile. L'ascesa e la caduta della carriera di Benedetta come suora, insieme alla sua relazione lesbica segreta, sono qui presentati nel modo più avvincente possibile, con approcci semplicemente molto ampi e forse convenzionali. Le sfumature ci sono tutte nella lettura della religione a confronto con la vita, perché ci viene fornita la storia della vita di Benedetta, ripresa dalla formidabile presenza di Virginie Efira, che ha saputo interpretare la complicità del suo personaggio con grande convinzione e dedizione. Anche Charlotte Rampling è stata davvero impressionante come pilastro del cast di supporto, che probabilmente ha offerto la migliore interpretazione dell'intero ensemble.


Ma tra tutto quanto è il cast che mi ha colpito: Virginie Efira incarna tutti i valori delle attrici che hanno impersonato i personaggi femminili di Verhoeven: biondismo, bellezza, ambiguità della doppia natura umana e così facendo costruisce nella sua Benedetta Carlini (realmente esistita) una commistione tra i personaggi di Caterina da Siena e Giovanna d'Arco nel quale vengono immesse tutte le peculiarità tipiche del regista come la sottile linea tra realtà e finzione della Catherine Tramell di Sharon Stone in "Basic Instinct", ma sarebbe anche un torto non citare Daphné Patakia (nel vedersi sembra quasi una fusione tra Mia Goth e Béatrice Dalle) che fa da tentatrice e contraltare alla santità (?) della protagonista creando una versione perversa della coppia in "Portrait de la jeune fille en feu" di Céline Sciamma, infine la solita Charlotte Rampling che spicca con la sua arriverà badessa sempre pronta nel condannare uomini che mercanteggiano come giudei le necessità economiche della Santa Romana Chiesa.


La Chiesa nel XVII secolo, così come è oggi, funzionava come un’arma politica, una forza di indottrinamento, censura (ipocrita talvolta) e controllo violento. In effetti, allora era una parte importante dello Stato, un’istituzione della classe dirigente più forte profondamente radicata in molteplici governi in gran parte di un continente e nelle parti colonizzate del mondo. Senza dubbio è un affresco di persone spietate, manipolatrici, arriviste e crudeli (anche se non si fa di tutta l'erba un fascio nella visione di Verhoeven) come lo era allora, ma che in peccato contemporanea hanno perso il loro ruolo centrale. In parte ciò è dovuto al fatto che i capitalisti negli Stati Uniti hanno avuto più successo con le chiese protestanti, e in parte questo è solo il risultato di un mondo che si allontana dal feudalesimo. Apprezzo che Benedetta, come personaggio, sia anche solo un altro giocatore manipolatore, crudele, violento e venale nella contorta macchina politica della chiesa feudale, che esercita percezione e negabilità contro altri nei giochi politici. I suoi incontri sessuali con Bartolomea vengono usati contro di lei, e questa è innegabilmente omofobia istituzionalizzata all'interno della chiesa, ma il motivo per cui viene attaccata non è proprio a causa del sesso che viene vista fare. È perché rappresenta una minaccia per gli altri che desiderano essere al potere. Lei, Felicita, il prevosto e il nunzio stanno tutti giocando un gioco di manovre opportunistiche; se non si fosse scopata Bartolomea avrebbero trovato un altro modo per distruggerla.


La pellicola è un susseguirsi tra giochi di specchi, religione, umanità, martirio e non manca anche la violenza medioevale (cosa non nuova a Verhoeven, basta solo citare "Flesh+Blood") che scoppia nel finale della rivolta popolana in cui, come direbbe Barbero, le persone fanno carne delle proprie vittime presi dall'isteria di massa, giusta menzione va fatta anche alla colonna sonora di Anne Dudley spazia dalla sacralità dei cori religiosi all'evocatività di composizioni efficaci. In pratica questo film è l'ennesima conferma di come Paul Verhoeven non venga mai meno al suo cinema, non cedendo alle mere scelte/compromessi politicamente corretti di tanti giovani registi che sono venuti dopo la sua ascesa nel cinema europeo e americano.



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