venerdì 7 dicembre 2018

Cattivi preferiti: Colonello Nathan R. Jessup


Colonello Nathan R. Jessup (Jack Nicholson)

Caratteristiche: Militare in ascesa, orgoglioso, tiranno

Film: A Few Good Men 1992 di Rob Reiner

Frase: - Tu non puoi reggere la verità. Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Chi lo fa questo lavoro, tu? O forse lei, tenente Weinberg? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. Voi piangete per Santiago e maledite i Marines. Potete permettervi questo lusso. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io. Che la morte di Santiago nella sua tragicità probabilmente ha salvato delle vite, e la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite! Voi non volete la verità perché è nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco. Preferirei che mi dicesse la ringrazio e se ne andasse per la sua strada. Altrimenti gli suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella. In un modo o nell'altro io me ne sbatto altamente di quelli che lei ritiene siano i suoi diritti."


giovedì 6 dicembre 2018

Cattivi preferiti: Mangalores



Mangalores (questo nella foto è Aknot il loro capo)

Caratteristiche: Alieni, spirito guerriero, mutaforma

Film: Il quinto elemento 1997 di Luc Besson

Frase: "Noi siamo guerrieri non mercanti"


mercoledì 5 dicembre 2018

Killer Joe (2011) Il killer di William Friedkin

Spesso e volentieri dopo l’avvento del cinema di Tarantino si è fatto volentieri abuso del termine pulp che dalle sue radici letterarie si è trasferito su grande schermo in pompa magna, con il suo carico di violenza, efferatezze e contenuti estremi filtrati dall’immaginario tarantiniano fatto di poliziotteschi, musica anni ’70 e cinema exploitation. Il Killer Joe di William Friedkin, regista di classici come L’esorcista e Vivere e morire a Los Angeles dirige con tocco sapiente ed esperto un frullatone che va dal noir, al crime e anche alla dark-comedy con personaggi taglienti come rasoi. Friedkin adatta l’omonima pièce teatrale del premio Pulitzer Tracy Letts affidando a quest’ultimo la sceneggiatura (cosa già avvenuta per Bug) e confezionando un film nerissimo, violento con nudità e linguaggio forte, dove tutti i personaggi sguazzano nell’ambiguità più becera e i valori famigliari hanno il sapore aspro di un whisky di pessima marca.

martedì 4 dicembre 2018

Cattivi preferiti: Sutter Cane


Sutter Cane (Jurgen Prochnow)

Caratteristiche: Scrittore, diabolico, crede di essere Dio

Film: Il seme della follia 1995 di John Carpenter

Frase: - I miei libri sono stati tradotti in diciotto lingue; sono più quelli che credono nella mia opera che quelli che credono nella Bibbia -


lunedì 3 dicembre 2018

Wolfman (2010) Il licantropo di Joe Johnston

Nel vuoto produttivo che è Hollywood negli ultimi anni, si opta pur di battere cassa, anche il far rivivere personaggi leggendari e mai dimenticati come "L'uomo lupo". "Wolfman" è un remake diretto del classico di George Waggner datato 1941, con Benicio Del Toro (anche produttore) che prende il ruolo di Lon Chaney Jr. Nessun tentativo di mordenizzare o fare gola ai giovani, una messa in scena tranquilla, a cui manca il gusto di rischiare come nella visionarietà barocca di un Coppola ("Dracula di Bram Stoker") o nel grand guignol di Branagh e il suo "Frankenstein". A furia di non aspettarsi ormai quasi niente per non dire il peggio, è normale accontentarsi. E' il caso di Wolfman, un film letteralmente massacrato nel 2010. La buona cosa è che di certo Wolfman non e un bel film, ma non è neanche un disastro in piena regola. Nelle mani del buon Joe Johnston (Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi, Jumanji e Jurassic Park 3), che rimpiazzò Mark Romanek, questo "Wolfman" si conferma un costoso (150 milioni di dollari) b-movie: rapido, semplice, divertente (la fuga dal manicomio in questo è una scena riuscitissima), dalla vena violenta e gore con un gusto retrò nel rinunciare alla CGI per affidarsi ai trucchi e al make-up dell'esperto Rick Baker (che si prenderà pure un Oscar per il trucco in questo suo lavoro). Quindi nonostante i difetti, Joe Johnston ha realizzato un film tradizionale, senza contaninazioni action moderne (vedasi Underworld), con l'intento di rispolverare una storia classica che ha fatto la storia dell'horror, non infangando la tradizione.
La sceneggiatura scritta da A.K. Walker porta la firma anche di David Self, il plot è molto superficiale, viene riproposto tutto quello che già sappiamo sui lupi mannari: il rapporto tra la bella e la bestia, il conflitto tra scienza e paranormale e l'annunciata tragedia finale. Manca l'ironia o modernizzazione (cose che si possono trovare tranquillamente nei film di Dante, Jordan e Landis per il genere), la medesima critica che si potrebbe muovere a "La leggenda di Sleepy Hollow" (lo sceneggiatore è lo stesso Andrew Kevin Walker), altro tentativo di rendere omaggio al filone gotico. Solo che in quel caso c'era il selvaggio e miracoloso talento visivo di Burton a fare da collante e a sopperire alle mancanze dello script. Molte delle perplessità sono rivolte a quello che doveva essere l'elemento fondamentale, ossia il protagonista. Benicio Del Toro recita sul filo del rasoio tra l'essere fuori parte e la poca foducia del lavoro svolto.
Guardando gli altri attori, con Anthony Hopkins si migliora, nonostante il suo gigioneggiare così tanto. Meglio l'istrionismo di Hugo Weaving che funziona molto meglio. Ma la sorpresa è per Emily Blunt, relegata in un ruolo piuttosto superficiale e stereotipato, diventa la colonna portante di tutta la pellicola. Insomma, una pellicola sicuramente migliore che tutto sommato non è il disastro tanto acclamato dalla critica statunitense, ma senza dubbio di questa ennesima variazione sul tema del licantropo non se ne sentiva il bisogno. Le miglior lodi comunque spettano senza dubbio al lavoro svolto da Rick Backer per il trucco, alla bellissima colonna sonora conposta da Elfman ed alla fotografia sempre azzeccata di Shelly Johnson che ben si sposa con le scenografie storiche fatte da Rick Heinrichs. Ultima menzione per i bellissimi costumi elaborati da Milena Canonero.

domenica 2 dicembre 2018

The Girl with the Dragon Tattoo (2012) Il rifacimento (con classe) di David Fincher

Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor) di Stieg Larsson era sulla bocca di tutti dovevi vivere sulla luna per non averne mai sentito parlare. Oltretutto paziente zero della pandemia in libreria di romanzi, decenti, indecenti, ottimi, venuti dalla Svezia, una mania thriller sfumata tanto veloce da non lasciare ricordi. Il miglior risultato di questa ondata di gialli resta senza dubbio il romanzo di Larsson, primo di una trilogia, la cosidetta Millennium, dal nome del tabloit giornalistico del protagonista Mikael Blomkvist. A seguire La ragazza che giocava col fuoco (Flickan som lekte med elden) e La regina dei castelli di carta (Luftslottet som sprängdes), incentrati questa volta più sulla figura ambigua e affascinante di Lisbeth Salander, hacker dal passato luttuoso, che su quella del giornalista Blomkvist. D'altronde lo si capisce fin dal primo romanzo che Lisbeth Salander è uno di quei personaggi che resta appiccicato alla memoria più del valore oggettivo dell'opera, alla fine un thriller politico che libro dopo libro ha cercato di ingarbugliare il semplice plot con troppa carne al fuoco. Ma cosa resta di quella trilogia cinematografica? Ovvio, la performance di Noomi Rapace, la perfetta Lisbeth Salander dello schermo, affascinante, dark, feroce. Perfetta fino a Rooney Mara s'intende. Ecco che arriva David Fincher, il tempo delle feroci mutilazioni di Seven o i pugni di Fight club hanno lasciato spazio a più accomodanti storie d'amore e progenia o biopic interessanti come The Social Network. Eccolo che David, l'auteur disgraziato dell'Alien più maledetto, quello al cubo, tira fuori le unghie, e dopo l'ottimo, non capito, ad un passo dal capolavoro, Zodiac, confeziona sì un'opera commerciale, ma, Madonna Santa, con che classe.
È lo stesso film visto nel 2009, solo con attori migliori, solo con una regia che non si accontenta di essere diligente, ma è esplosiva. E non è poco. Niels Arden Oplev era un cuoco da mensa, David Fincher è uno chef d'alta classe, gli ingredienti usati sono gli stessi, non si può dire da una parte si è mangiato male, si è soddisfatti comunque, ma è solo con Fincher che degustando la ratatouille, come nel cartone di Brad Bird, si aprono i cancelli del cielo. L'intelligenza del remake/trasposizione letteraria è data dalla scelta, per certi versi coraggiosa e anti commerciale, di non spostare la cornice della vicenda dall'Europa all'America, come per i rifacimenti a stelle e strisce di, per dirne due, Nikita di Luc Besson (Nome in codice Nina di John Badham) e Wicker man di Robin Hardy (Il prescelto di Neil La Bute). Quindi rimane la Svezia con il suo inverno rigido in una sorta di innovativo gotico dove la claustrofobia è data non tanto da enormi castelli popolati di fantasmi, ma dall'impossibilità per il freddo o le intemperie di potersi muovere da luoghi ostili. Millennium: uomini che odiano le donne ti colpisce fin dai titoli di testa alla James Bond in acido. Ecco che in quei pochi secondi nero pece vediamo le immagini future nascere e morire neanche fossimo in una poesia di Dylan Thomas, l'amore diventa l'urlo di una donna e ancora il sudore sui tasti sono filo spinato su un viso urlante. C'è musica industrial? Heavy metal? Classica? Che importa mentre ci concentriamo sul grido.
A dire il vero il cuore del film, la trama gialla, è banalotta per gli spettatori più sgamati, ma serve a sancire legami importanti tra i due protagonisti, Mikael e Lisbeth, la loro storia d'amore mai gestita in modo così poco romantico in un film per masse. Poi c'è Rooney Mara. Lasciamo stare un Daniel Craig da arredamento, una Robin Wright incartapecorita, c'è Rooney Mara, una perfetta signora nessuno, eppure da sola è l'80 per cento del film. Riesce nel compito, difficile, impossibile, di far dimenticare la Noomi Rapace del precedente adattamento e lo fa con uno sguardo sommesso da bambina malnutrita. Rooney Mara sembra uscita da un book di Tim Burton, il suo mondo fatto di bambini ostrica abbandonati da genitori orchi, percorso da freak d'immensa bellezza. È l'incontro impossibile con l'universo di Clive Barker a generare questa nuova Lisbeth Salander in versione cenobita triste. Certo la Rapace era bella, era aggressiva, era dark, ma Rooney Mara è oltre la Rapace, è oltre una performance attoriale, è la Lisbeth Salander di Stieg Larsson, il ruolo è cucito sulla sua carne martoriata di pearcing e tatuaggi. Guardiamola mentre si lascia usare, guardiamola mentre la bruciano: eccola che diventa una pantera, gli occhiali tondi, l'inchiostro come avesse una saldatrice, Io sono un porco stupratore, Lisbeth ridiventa piccola all'improvviso.
Millennium: uomini che odiano le donne è un film nato per ragioni commerciali, lo stesso Fincher dichiarò di avere accettato per motivi strettamente economici, eppure è una di quelle opere che ti catturano, dalle quali non ti aspetti niente eppure ti lasciano la bava alla bocca, lo sguardo un po' ebete mentre ti ripeti Wow. Wow la regia, wow come è raccontata la storia, wow gli attori, wow l'atmosfera. Era il 1994 quando hai detto “Riuscirà Carlito a scappare”, ma poi esce fuori Benny Blanco che viene dal Bronx e lo uccide... ogni volta ti dici che ce la farà... Ogni volta, fosse anche la millesima volta che lo guardi. E' questo il cinema. Quando Lisbeth è sulla moto con quella giacca da regalare ti senti stringere il cuore. Dici “Lui la aspetta”. E quante volte penserai “Lui la aspetterà”?

Quello che tira di più