Ravenous (1999) il cannibalismo come Sogno Americano

Gli anni 90, anche nel loro tramonto, sono stati un campo veramente fertile per la singolarità delle produzioni cinematografiche, che se pur non essendo sempre originali (in particolare nel suolo americano) offrivano diverse chiavi di rilettura sopra i generi, non fa esclusione Ravenous (da noi conosciuto con il titolo "L'Insaziabile). Lo sviluppo del film fu molto travagliato, con il regista originale Milcho Manchevski che abbandonò la produzione tre settimane dopo l'inizio delle riprese a causa di problematiche per l'eccessiva invasività dei produttori. Manchevski fu sostituito dalla regista Antonia Bird su suggerimento dell'attore Carlyle. La Bird trovò gli stessi problemi che estromisero il regista originale, successivamente ammise che la versione finale della pellicola fu modificata addirittura dall stessa produzione. La sceneggiatura elaborata da Ted Griffin è ispirata agli episodi di cannibalismo che si verificarono nella seconda metà dell'Ottocento durante le spedizioni dei pionieri americani dirette in California. Le vicende in questione riguardano infatti la fallita spedizione Donner e i delitti di Alfred Packer.
Devo dire che a me la pellicola è piaciuta; per l'ennesima volta ho riscontrato quanto facilmente venga valutato come film horror un prodotto che fondamentalmente non lo è; credo che questa sia una delle ragioni principali che ha portato la gente a giudicare negativamente la pellicola. Parliamo di una pellicola grottesca (dai toni spesso macabri uniti alle tematiche western e thriller), a tratti anche inquietante e disumana, ma di fondo è solo una vicenda drammatica, piena di terrore e paura, ma sostanzialmente realistica. Inoltre ho apprezzato molto la totale mancanza di elementi commerciali; sarà perchè si tratta di una produzione europea, però la pellicola non si perde affatto in convenevoli inutili o scene pensate per il grande pubblico; il film racconta quello che vuole raccontare affrontando il tema del cannibalismo utilizzando un principio insolito, legato più che altro al conflitto che può esserci tra moralità e "onnipotenza", dove il nutrimento tramite la carne umana risulta un modo per dare maggior vigore all'energia rigenerativa del corpo umano un po' come il vampirismo nel film The Addiction di Abel Ferrara per capirci. Il cannibalismo diventa qui un'allegoria della società: il Dio Cannibale, al quale uno dei protagonisti si riferisce in un passaggio del film, non è nient'altro che l'America del secolo scorso, un gigante che cresce, che apre le braccia a tutte le persone e che le mangia, le divora per diventare ancora più grande. L'idea alla base in questa visione è un postulato rovesciato: non è colui che ha ragione che vince, bensì l'opposto: è chi vince che ha ragione. Il che poi implica che il modello vincente aveva ragione fin dall'inizio: quindi in ultima analisi vince chi ha ragione e ha ragione chi vince, indipendentemente da quale sia il prezzo da pagare. Emblematiche sono in questo senso le parole del cannibale: "non abbiamo scelto noi questo modello. Noi semplicemente ci adattiamo ad esso". Adattarsi significa scegliere di non essere vittime, il che implica - per forza - la scelta di diventare un carnefice, in un modello in cui il forte divora il debole, il migliore divora il peggiore. Non c'è spazio per la morale, devi fare un compromesso con la tua coscienza. E non a caso le vittime, il pasto dei cannibali, sono l'idiota, il soldato fanatico, il predicatore pazzoide, l'indiano, l'ubriacone. Ognuno ha un suo ruolo in questo meccanismo, chi mangia e chi viene mangiato - ma è un meccanismo selettivo: "risparmieremo chi ha una famiglia". Non c'è una terza via in tutto questo. Ribellarsi significa necessariamente donare sè stessi, sacrificarsi, in una parola morire. Ma sacrificarsi fermerà questo meccanismo Per niente. L'unica cosa che porterà, purtroppo, è la consapevolezza di morire a testa alta e senza aver fatto compromessi con la propria coscienza, mentre, nello stesso momento, un generale dell'esercito si starà gustando lo stufato di un soldato semplice.
Nonostante la pellicola risenta delle problematiche della produzione (e di sceneggiatura tra argomenti poco sviluppati come il Wendigo o colpi di scena non troppo calibrati) svolge pienamente il suo compito questo anche grazie ad un cast molto interessante: Carlyle è il vero mattatore del film dato che regala un personaggio iconico nella sua follia (?) dando prova delle sue grandi capacità attoriali ma non da meno sono pure Guy Pearce nel ruolo del soldato che da codardo diventa eroe ed anche un Jeffrey Jones ottimamente calato nella parte. Da citare pure la partecipazione di David Arquette (che ritornerà in questo genere particolare con Bone Tomahawk) e John Spencer qui in una delle sue ultime prove prima della sua morte. La fotografia di Anthony B. Richmond è una goduria, sembra richiamare il Grande Silenzio di Corbucci, grazie anche un ambiente narrativo tutto innevato e selvaggio al quale si abbina una bellissima ed ispirata colonna sonora elaborata da Michael Nyman e Damon Albarn che regala ottime alchimie con la disomogeneità sopra i generi che riveste il film (Neil Farrell difatti nel montaggio fornisce prova di questi continui cambiamenti). Ultima menzione per gli addetti agli effetti speciali: Robert Kurtzman e Greg Nicotero veterani che non hanno bisogno di tanti giri di parole per mostrare le loro capacità. L'unica delusione (che non centra nulla col film) è che questa regista non abbia più girato pellicole del genere vista la sua morte orematura, un vero peccato perché aveva stile da vendere.

Commenti

  1. Ho visto pochi film con i cannibali, e questo (che in verità non mi attira tanto) non è uno di quelli..

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    1. Il cannibalismo è presente ma in una forma particolare, si può che il vero cannibalismo sia quello americano. Non è un horror classico.

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