The Name of the Rose (1986) Il nome della rosa secondo Jean-Jacques Annaud

Ritorniamo come sempre negli anni 80, come sempre in quel magico 86 di cinematografica memoria, la genesi di questo film nasce negli anni 80 quando Umberto Eco diede al mondo "Il nome della rosa" che fu un successo mondiale folgorante e forse anche inaspettato da Eco stesso. Jean-Jacques Annaud volle da subito dirigere una trasposizione cinematografica del libro, uscito dal successo del suo precedente film La guerra del fuoco, però il lavoro ebbe cinque anni di gestazione artistica prima che le riprese iniziassero sul serio. La pellicola venne girata in 16 settimane, fra gli studi di Cinecittà a Roma per le scene degli esterni e l'Abbazia di Eberbach in Germania per le scene degli interni. Come erroneamente si pensa, il film non fu mai girato a Castel del Monte in Puglia, ma il castello ha solo ispirato la forma della biblioteca ottagonale. Non fu neanche utilizzata Rocca Calascio in Abruzzo come abbazia, che infatti fu ricostruita in una location a Fiano Romano come confermato da Umberto Eco stessk. Le scene finali del film furono invece girate in una valle situata tra Rocca Calascio e Santo Stefano di Sessanio. Il budget per le riprese, che si svolsero tra l'11 novembre 1985 e il 10 marzo 1986, fu di circa 17 milioni di dollari. Inizialmente il film doveva essere ambientato nella piemontese Sacra di San Michele (l'abbazia valsusina ispiratrice di Eco per il suo romanzo), poi questa scelta venne reputata troppo dispendiosa dai produttori. Prima di Sean Connery, per il ruolo di Guglielmo vennero considerati: Michael Caine, Roy Scheider, Jack Nicholson, Marlon Brando, Max von Sydow e Robert De Niro, quest'ultimo scartato perché aveva preteso di inserire una scena dove il suo personaggio e Bernardo Gui si scontravano all'arma bianca. Per il ruolo della ragazza venne selezionata inizialmente Mathilda May, che invece prese parte al film flop Space Vampires. La parte andò a Valentina Vargas, scelta su pressante richiesta di Christian Slater (e chissà perché aggiungo io). Salvatore Baccaro era stato scelto per il ruolo di Salvatore, ma l'improvvisa morte dell'attore, avvenuta nel 1984, fece propendere per Franco Franchi il quale però, quando scoprì che i truccatori l'avrebbero sottoposto alla tonsura dei capelli, rifiutò la parte, in seguito assegnata a un allora sconosciuto Ron Perlman.

La trama vien da sé: 1327, in un’antica e sperduta abbazia benedettina del nord-Italia si susseguono una serie di morti alquanto bizzarre, ognuna con peculiarità ben specifiche, così dopo l’ennesimo corpo ritrovato senza vita, paura e sospetto serpeggiano tra i monaci che cominciano a pensare che nelle morti ci sia lo zampino del Maligno. Il provvidenziale arrivo nell’abbazia del francescano Guglielmo da Baskerville (Sean Connery) in compagnia del novizio Adso (Christian Slater), farà si che gli siano affidate le indagini relative ai misteriosi decessi direttamente dall’abate, che conosce l’esperienza sul campo del monaco conosciuto come un fine e dotto indagatore. Prima di tutto va detto che la trasposizione è un palinsesto del libro di Eco, in questo la sceneggiatura scritta da: Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin e Alain Godard è la quintessenza ultima della visione del regista e non dello scrittore (nonostante vengano rispettate tutte le sue idee, dall'ordine dei frati fino allo scontro tra ragione e fede). Visione del regista quindi, una libera interpretazione (ce ne fossero tante così) che dona una sfumatura in più togliendone altre, lì dove la perizia di un medievista come Eco era permeata dall'ambiente storico e culturale del tempo, viene sezionata (solo nei contenuti) così da non potersi disperdere e regalare allo spettatore un senso ultimo a fine visione della pellicola. Vista la palese difficoltà di cogliere sfumature e intenti dell’opera, il regista francese opera con intelligenza un libero adattamento, utilizzando la struttura del romanzo originale come un vero e proprio giallo dall’impianto classico, ma dall’ambientazione insolita e suggestiva. Una messa in scena introspettiva e un protagonista d’alto profilo come il veterano Sean Connery fanno di questo film un insolito rappresentante del genere thriller, unico nel suo collocamento temporale che pesca suggestioni dallo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, Il Guglielmo da Baskerville di Connery lavora su logica e deduzione citando il romanzo Il segno dei quattro: - Quando hai eliminato l’impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità. -.

Il nome della rosa resta ad oggi un’operazione riuscita e un adattamento intelligente del romazo di Eco, un film che mantiene e manterrà nel tempo un fascino unico che ne fa senza dubbio un classico. Nel cast troviamo anche un giovanissimo Christian Slater novello Watson, il veterano Frank Murray Abraham reduce dall’Oscar per il suo Antonio Salieri nell’Amadeus di Forman , Ron Perlman (futuro eroe nell’Hellboy di Del Toro), Fëdor Fëdorovič Šaljapin, Michael Lonsdale, Valentina Vargas e tanti altri che regalano con le loro peculiarità (sia fisiche che interpretative) un affresco molto vario e particolare dentro la pellicola (le facce dei monaci sono tutte un programma per la loro plasticità). Il regista francese però, con una grande ricercatezza, non si fa mancare nulla per costruire la sua storia: dagli oggetti di scena tutti rigorosamente ricercati nella loro veridicità storica, passando per i costumi fatti da Gabriella Pescucci e pure nel grottesco trucco di Hasso von Hugo e Maurizio Silvi. Altra menzione che non può mancare è la scenografia (perfettamente in combinazione con la fotografia di Tonino Delli Colli): elaborata, gotica, fredda, misteriosa, labirintica e anche spettrale. Il lavoro svolto da Dante Ferretti, Giorgio Giovannini, Rainer Schaper e Francesca Lo Schiavo risulta immaginifico: la ricreazione dell'ambientazione tramite costrutti, l'elaborazione di un labirinto degno del miglior disegno di Escher sono due delle tantissime cose che danno valore aggiunto all'intero girato. Ultima parte fondamentale sono le musiche di James Horner che ben donano spessore alla pellicola.

Concludendo il discorso ci troviamo di fronte ad un ammirabile e sopraffino prodotto cinematografico, che riesce ad essere completo pur tralasciando determinati aspetti del libro. La cosa che più mi colpisce ancora oggi è il senso dato dal regista al titolo stesso: come molti conoscitori del medioevo sapranno, in quei particolarissimi anni aveva grande successo un romanzo chiamato Il Roman de la Rose. Il Romanzo della Rosa è un poema allegorico di 21.780 octosyllabes ritmati, scritto in due parti distinte, da due diversi autori a distanza di 40 anni (1237 - 1280). Dante Alighieri addirittura conosceva bene l'opera, ancora famosa al suo tempo, dalla quale ricavò ispirazione per alcuni scritti a lui attribuiti: Fiore e Detto d'Amore. Ora voi vi starete chiedendo qual è il filo conduttore che lega il film del regista francese e il libro (francese pure quello) , molto semplice a spiegarsi: Il Roman de la Rose parla dell'amore e del suo consumo (l'atto sessuale) e il film di Annaud ricollega il tutto, con ammirabile visione d'insieme personale, tramite il rapporto tra il giovane Adso e la contadinotta senza nome della quale s'innamora. Come viene oltretutto detto sul finale dalla voce fuori campo del grande Riccardo Cucciolla: - Ma ora che sono molto, molto vecchio, mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi ritornano alla mente, più chiaro di tutti, vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure, dell'unico amore terreno della mia vita non avevo saputo, né seppi mai: il nome... -

Commenti

  1. Non era facile rendere così bene un romanzo di Eco, per quanto Eco stesso non si era forse reso conto di che forza avesse scritto: lui aveva voluto fare un romanzo giallo-noir medievale, senza chissà che studio, e invece...
    Il film è invecchiato benissimo, e forse perché si attiene molto al romanzo. Cast azzeccatissimo, scene perfettamente in equilibrio tra cupezza e teatro per quei protagonisti anche brillanti.
    Connery dio, impossibile pensare agli altri (Nicholson?) o a un duello cafone con le spade...

    Moz-

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    1. Ti consiglio di visionare il documentario chiamato La Rosa dei Nomi che aggiunge veramente molto a quanto ho già scritto!

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  2. Resta difficile credere che una contadina "selvatica" dell'epoca potesse avere l'aspetto della Vargas :D Ma comunque è sempre un bel vedere

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    1. Difficile ma non improbabile, per il resto bisogna chiedere a Slater. Fu quel furbetto a sceglierla 😂

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