Crouching Tiger, Hidden Dragon (2000) La tigre e il dragone, di Ang Lee


- Quando ero bambino, passavo notti intere a guardare le stelle, ne vedevo cadere tante, e pensavo che doveva esserci una gran luce, laggiù, dove atterravano tutte. Volevo trovarle! Raccoglierle, tenerle tutte per me. Da allora vivo qui nel Xin Jiang, cavalco nel deserto e cerco le stelle, i sogni che si fanno da bambini ci seguono sempre. -


"La tigre e il Dragone" firmato dal regista taiwanese Ang Lee trasfigura le arti marziali in chiave magica, quello che di solito è appena accennato o totalmente ignorato in questo film diventa esplicito e costante e siccome noi occidentali abbiamo il dogma della razionalità, per cui consideriamo non reale tutto ciò che sfugge alle leggi della fisica e biologia, l'unico termine che potremmo usare di fronte alle vicende raccontate da Ang Lee in questo film è fiaba. La storia parla di un grande maestro, Li Mu Bai, che vuole disfarsi della sua spada chiamata Destino Verde, quella spada è, forse, la spada migliore che esista e la sua lama è stata forgiata quattro secoli prima con una tale sapienza che sembra pressoché invincibile ma allo stesso tempo, ed è ciò che turba Li Mu Bai, è una lama che si è macchiata di troppo sangue e abbandonarla diventa quindi per il maestro il primo passo verso una nuova esistenza: perché anche la maestria può divenire una gabbia, in cui l'ego si aggira senza trovare l'uscita nella ricerca della chiave che potrebbe finalmente aprire quella porta, dal non rendersi conto che quella chiave la si porta addosso. Se per il maestro la spada è quindi diventata un fardello, ci è invece chi se ne vuole appropriare, ed è disposto pur di riuscirci nel seminare morte e sofferenze.

Questo è dunque il nucleo narrativo centrale della pellicola, ma poi ce ne sono altri: a cominciare da quello romantico e sentimentale, in cui le migliori attrattive evocative della sceneggiatura sono quelle che riesce a evocare. La critica statunitense al tempo lo definì magico, mistico, una fantasia romantica, questo film in realtà per stessa ammissione del cineasta è una sorta di sogno della Cina, di una Cina che probabilmente non è mai esistita fuorché nella sue fantasia di quando, da bambino, si trovava a Taiwan e immaginava i film d'arti marziali. La cosa più imprevedibile tra quelle dichiarate da Ang Lee, è che i film di genere Wuxia sono tutti fondati sulla virilità (nella maggior parte dei casi) e nel suo lavoro lo scopo era stato quello di mettere al centro i personaggi femminili, del resto il soggetto del film è ispirato al romanzo "Crouching Tiger, Hidden Dragon" (quarto libro della Crane-Iron Pentalogy) di Wang Du Lu. Il titolo originale è tradotto letteralmente: la tigre in agguato e il dragone nascosto, questa espressione riprende un antico proverbio cinese, utilizzato per indicare la differenza abissale che esiste tra ciò che appare e ciò che è. In ciascuno dei personaggi della vicenda si cela qualcosa che è assopito nella profondità dell'animo, che lascerà in ciascuno di loro un sottofondo di sconforto e inquietudine e che li segnerà profondamente determinandone il destino.


Ang Lee mette in mostra tutto il fascino di un'ambientazione cinese (con un budget di 17 milioni di dollari) idealmente simile a quella dove governava la Dinastia Qing attraverso i panorami e le scene di combattimento deliberatamente inverosimili, il tentativo è quello dunque di mostrare quegli aspetti più poetici e spirituali delle arti marziali in cui le mirabolanti imprese dei personaggi talvolta sconfinano nella magia. Ci sono dei balzi in aria che diventano quasi messe in mostra di padronanza di levitazione, per non parlare della stupenda scena di combattimento in bilico sulle canne di bambù in cui le gesta dei protagonisti violano le leggi empiriche della fisica andando al di là di qualsiasi verosimiglianza portandoli a compiere qualcosa che si spiegherebbe soltanto con la magia. Ma come dice Shu Lien (interpretata da una soave Michelle Yeoh) ad inizio film: i libri non si venderebbero se dicessero sempre la verità, la stessa cosa dunque vale anche per la settima arte. Verrebbe da dire che la vecchia guardia ha sempre ricevuto questo tipo d'intrattenimento da parte del genere, un esempio lampante è "A touch of zen" di King Hu del 1972, però nei successivi trent'anni il genere era passato di moda fino a ritornare in pompa magna alle soglie del 2000, in questo l'ondata delle produzioni animate giapponesi e di conseguenza "Matrix" delle Wachowski aveva ridato una spinta nel mondo del cinema al genere. In questo, per quanto la pellicola di Ang lee magari possa essere criticata per la maggiore esposizione rispetto ad altre, non vi è altro da dire che l'dea del regista è stata quella giusta al momento più che giusto, difatti 200 milioni al botteghino parlano da soli.



Inutile dire che la forza dei dialoghi risulta nella loro poetica intimista, intrinseca e sognatrice, quasi didascalica ma mai fine a sé stessa nella caratterizzazione dei personaggi, dove spiccano: un sublime Chow Yun-fat, una grandiosa Michelle Yeoh, una bellissima Zhang Ziyi (che da qui in poi non ne sbaglierà una di pellicola per questo genere), un ribelle Chang Chen e una Cheng Pei-pei che con la sua Volpe di Giada mi ha ricordato tanto la Kaede in "Ran" di Akira Kurosawa. Il cast tecnico comunque è ammirevole: la fotografia di Peter Pau, i costumi/scenografie di Tim Yip, il montaggio di Tim Squyres e le musiche di Tan Dun e Yo-Yo Ma ridefiniscono tutto il lavoro fatto dalla sceneggiatura di Wang Hui-ling, James Schamus e Tsai Kuo-jung, creando e rivestendo strati di approfondimento d'ambientazione ed evocativo emozionale. Quando cinema d'arti marziali e poetica si fondono così meravigliosamente non si può che restarne abbacinati. Messa in scena favolosa che si sposa sia con la fotografia che con i momenti di lotta coreografati da Yuen Woo-ping. Cast al bacio, Ang Lee mette in scena una vera e propria favola che tocca attimi sognanti e crudeli nel destino che raccoglie i personaggi che la vivono.




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