Murder on the Orient Express (1974) La notte degli inganni di Sidney Lumet


Era il 1973 quando i produttori John Brabourne e Richard B. Goodwin riuscirono a strappare, a una allora reticente Agatha Christie, l'adattamento del romanzo "Assassinio sull'Orient Express". Forti di un budget molto alto da parte della EMI, fu chiamato alla regia un certo Sidney Lumet (che era già esperto nel dover dirigere 12 personaggi in cerca di vendetta e giustizia dentro uno spazio ristretto con La parola ai giurati in orginale 12 Angry Men), che veniva dal bellissimo Serpico e avrebbe diretto l'anno successivo Dog Day Afternoon, il cast invece vanta la presenza di ben 11 attori nominati per un Oscar durante la loro carriera.

La sceneggiatura fu affidata a Paul Dehn, che nel lavoro di adattare lo scritto di Christie ebbe modo di apportare varie modifiche cosi da valorizzare l'operato alla camera di Lumet. L'incipit iniziale dell'opera è folgorante, perché mostra il rapimento (che ricorda molto il fatto di rapimento della figlia dell'aviatore Lindbergh risolto dal FBI) da cui tutta la storia scaturisce attraverso un montaggio a metà tra documentario e girato cinematografico dove vengono messi sul vassoio (celatamente) tutti gli indizi dal regista e dallo sceneggiatore. La successiva presentazione di Poirot e di parte (superficialmente) del cast resta comunque anonima e comunque molto tranquilla con qualche sprazzo di caratterizzazione giusto per non perdere troppo il ritmo, fino alla partenza del treno sviluppata molto classicamente.


Il ritmo narrativo comincia a diventare più dinamico con la storia in movimento sul treno, dove Lumet utilizza al meglio le possibilità di ripresa in spazi cosi stretti (grazie a una sobria scenografia di Tony Walton, che lavorò anche ai costumi) senza perdersi in troppi virtuosismi visivi, dove il cast comincia a dare sfoggio di tutta la bravura per il quale era da sempre riconosciuto. Così mano a mano le carte vengono messe in tavola arrivando al fatidico delitto. Il lavoro a questo punto tra sceneggiatura, regia, montaggio si sublima sullo schermo e con metodo vengono mostrati tutti i pezzi di questa storia: le vere personalità dei personaggi, le prove del delitto e l'astuzia investigativa di Poirot, in particolare quest'ultima viene resa credibile (grazie al supporto del montaggio) con una dovizia mica male che ne dimostra le capacità di ragionamento, senza far perdere allo spettatore il filo conduttore che porta all'assassinio di Samuel Ratchett. Nota particolare per la fotografia di Geoffrey Unsworth, molto ben escogitata e anche di classe per mostrare l'omicidio (una luce blu, tocco di classe).

Parlando del cast non si può che affermare la gran qualità data dagli attori e dalle attrici che hanno preso parte a questo lungometraggio: un perfetto Albert Finney nei panni di un istrionico (e molto ironico) Poirot, una sublime Lauren Bacall che mostra la sua già riconosciuta bravura di caratterista con un personaggio importante, Ingrid Bergman regala un personaggio d'antologia mai esagerato o fuori dalle righe, Jacqueline Bisset e Vanessa Redgrave nella loro bellezza donano una credibilità veramente d'ottima fattura, Jean-Pierre Cassel e Sean Connery donano eleganza e anche rigidità militare tipica dei loro personaggi, Wendy Hiller e Rachel Roberts offrono uno bello spaccato di sangue blu e servitù d'alta classe, Anthony Perkins è sempre il solito ambiguo con il dramma Freudiano della madre impersonando bene le vesti che deve indossare grazie al suo passato Hitchcokiano, John Gielgud insieme a Michael York e Denis Quilley completano i restanti indiziati in maniera egregia. Rimangono quindi un buon Richard Widmark nei panni della vittima (il suo approccio a Poirot è memorabile a dir poco) e dei divertentissimi Martin Balsam e George Coulouris nei panni di personaggi di supporto comici e da spiegone di Poirot.

Il risultato è quindi una pellicola molto classica con un'eleganza tipicamente britannica nella messa in scena (anche nelle musiche di Richard Rodney Bennett), che magari può far storcere il naso per una narrazione a volte statica, ma che si supporta di grande qualità tecnica e recitativa che ne innalza il valore irrimediabilmente, bissando quello che può essere un problema di formato generazionale narrativo. Questa "Notte degli inganni" (citando una frase del film in questione ma anche un fatto accaduto nei Cavalieri dello Zodiaco) va vista e gustata nelle molteplicità delle sue sfumature recitative e nella mai noiosa staticità lineare d'evoluzione narrativa.




Commenti

  1. Dopo tutte le critiche al film di Kenneth Branagh per la presunta pochezza registica rispetto a questo film (per me critiche totalmente futili) sono molto curioso di vedere questo film.

    Grazie per aver incuriosito le mie "celluline grigie" :)

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    1. Sono d'accordo, nonostante abbia preferito quel senso di oppressione claustrofobica dalla regia classica di Lumet (che però non utilizzò la ripresa God's Eye al contrario di Kenneth). Il paragone di regia resta in questo caso si può attuare solo se si vuole argomentare le differenze tra stile moderno e nuovo.

      Le "celluline grigie" è stato utilizzato anche in questo adattamento italiano come frase. Si vede che era tipico dei libri di Agatha Christie (nella loro traduzione).

      Comunque noterai le differenze tra Rinaldi e Mete nel doppiaggio di Poirot se lo guarderai in italiano.

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