Apostle (2018) Il missionario della missione (di recupero) impossibile


Quando si parla di Gareth Evans non si può che accostare il regista Gallese al suo cristallino talento messo in mostra con The Raid, qui al suo quinto film (se si esclude l'episodio Safe Haven in V/H/S/2 co-diretto assieme a Timo Tjahjanto nel 2013) mette in scena una delle più classiche storie horror di matrice prettamente british che si possano immaginare, un infiltrato in mezzo ad una setta occulta su un'isola imboscata da qualche parte nel mondo, in cui vi dimora un essere magico/divino. La sceneggiatura scritta dallo stesso regista prende elementi noti ai più, difficile non collegare il film a pellicole come The Wicker Man e The Witch ma anche senza scordarsi The Village. Da citare a livello tecnico una riuscitissima ed immersiva fotografia di Matt Flannery e le suggestive musiche del duo formato da Fajar Yusekemal e Aria Prayogi. Il cast è bello folto in cui sono presenti delle ottime prestazioni: Dan Stevens e Michael Sheen su tutti, ma anche il supporto di Lucy Boynton, Bill Milner, Kristine Froseth e Mark Lewis Jones non è da meno e permette di rendere credibile il quadro d'insieme variegato che è il cast del film.


Il film inizialmente gira sulle basi di un mistery thriller in costume, carico di tensione e con esplosioni di grande violenza per poi evolversi in una seconda parte dove sfocia nel fantasy/horror, con degli inserimenti che inizialmente potrebbero far storcere il naso, ma che con il proseguire della trama riescono a convincere. C’e una regia congegnata, che non baglia e che elabora la tensione con un montaggio molto azzeccato (del resto Gareth ne è anche il montatore) a discapito però che la violenza non è sempre mostrata nella sua interezza, solo l'atto iniziale ed il risultato di esso, per questo scene come l'aborto (a mano) con il coltello e la foratura di un cranio non risultano d'impatto. Quindi appurato che la regia non viene mai meno (affascinanti le scene nel tunnel sotterraneo o quella della tortura e uccisione dei missionari cristiani), in fase di scrittura manca lo sviluppo dei vari dettagli messi in luce dall'evoluzione narrativa, un esempio è il segreto celato dietro alla strega/dea dell'isola che è intrigante, ma una volta scoperta la sua esistenza non c’è ripercussionel o alcuna spiegazione su di lei.


Bisogna tener conto che Netflix ci abbia messo parola durante la produzione e abbia optato per un taglio meno violento con una deviazione storicola sovrannaturale. Una situazione un po' strana da schiarire, che forse verrà svelata dallo stesso regista in qualche intervista. Nonostante tutto il film è stato accolto benissimol fa critica e pubblico, ed io nella lunghezza di 130 minuti non ho risentito di noia o situazioni irrimediabili, in conclusione ci troviamo davanti ad una pellicola valida che però sembra non sviluppare tutte le sue potenzialità a discapito di una messa in scena più estetica e contenuta che ad una critica diretta è paganamente violenta sulla realtà dei culti e sette.

Commenti

  1. Ha parecchi difetti, non ultimo il fatto di partire lentissimo ed essere a tratti un po' trash, ma è sicuramente una bella visione!

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  2. Il genere mi piace e mi hai incuriosito, però non ho Netflix 😆
    Che palle quando il produttore ci mette lo zampino ma non credo che un po' di violenza in meno abbia rovinato la pellicola.

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    1. No infatti, il film è risultato godibile lo stesso. ;)

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