The Childhood of a Leader (2015) I temper tantrum di un futuro dittatore


Temper Tantrum è il termine inglese per definire i capricci dei bambini, questo parola meglio rappresenta una parte di narrazione di cui questo film è permeato, e fa pure da introduzione ad un'altra particolarità che il film porta avanti ovvero il dualismo storico che esso riversa nell'infanzia di molti leader totalitaristi europei. L'anno in cui il film si svolge è il 1919, data conosciuta da molti perchè qui iniziarono le trattative di definizione per quello che diventerà il famigerato trattato di Versailles, appena dopo la fine della prima guerra mondiale. Come direbbe un certo Barbero: il secondo conflitto mondiale vede le sue radici direttamente (e giustamente) in quel trattato, probabilmente i semi della belligeranza nacquero in quel preciso momento. Il giovanissimo regista americano Brady Corbet, attore in lungometraggi come Melancholia o La fuga di Martha, nella suo film cerca di condensare così tante tematiche e nel rappresentare una così complessa metafora storica e distopica che rischia l'arroganza e la pretenziosità (cosa che a molti potrebbe risultare reale). La pellicola comunque analizza maledettamente bene e con stile un argomento di grande impatto sociale, storico e filosofico. Una sceneggiatura equilibrata e ben scritta dallo stesso regista con Mona Fastvold e Caroline Boulton, diretta con il 35 mm, che rende il film particolarmente notevole ed esteticamente interessante. 

Presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia nel 2015 (nella sezione Orrizonti), uscito in sala in Italia nel 2017, Il titolo è quello di un racconto di Jean-Paul Sartre del 1939, nonostante Corbet abbia dichiarato che l'unica fonte letteraria davvero decisiva ai fini dell'opera è "Parigi 1919" di Margaret McMillan, cronaca degli eventi che portano alla firma del Trattato di Versailles a giugno 1919. Brady Corbet è un americano cresciuto guardando cinema europeo e legato a un'idea di autore che è testimoniata anche dal suo peculiare percorso di interprete (ve lo ricordere nel rifacimento Sho for shot di Funny Games), in questa sua opera prima mescola generi e accosta attori di estrazione diversissima. Difatti Il cast è ben selezionato: Liam Cunningham (Game of Thrones) e Bèrènice Bejo (Il Passato di Asghar Farhadi), Robert Pattinson ( che in soli dieci minuti regala significato a tutto il film), Yolande Moreau (vincitrice di numerosi premi César) e la bellissima Stacy Martin (Nymphomaniac di Lars Von Trier) sono tutti tasselli da domino ben posizionati in quella che è la figura che si viene a creare nella scrittura del protagonista che è il piccolo Prescott (il bravissimo esordiente Tom Sweet). Il film è quello che tutti noi definianiamo come un divertissement cinefilo, ricco di citazioni e stilistiche di altri registi: Haneke (il nastro bianco su tutti), Lars von Trier, Dreyer, Jean Vigo, Polanski ma anche dei presagi infernali di The Omen e le illuminate veggenze di Shining. Una divagazione gotica (se non ai suoi limiti) su come il cinema stesso abbia  elaborato il tema dell'orrore del secolo scorso.

Il film è diviso in capitoli, preceduti da una ouverture che, attraverso filmati di repertorio, inquadra il periodo storico e il contesto nel quale si ambienta la vicenda. Ogni capitolo arriva al suo climax con lo scatto d’ira del bambino (o per meglio dire capriccio), che porta ad un continuo mutamento degli equilibri di potere familiare, in quella che è una lampante e allo stesso delicata simbologia del male totalitarista in Europa. Corbet però posiziona il contesto narrativo appena fuori Parigi: ad essere narrato è il mondo del piccolo Prescott che si trova nella fase della crescita in cui non si è né bambini e né uomini, il momento più delicato che spesso coincide con la formazione del carattere e delle future eventuali psicopatologie. Prescott è un bambino americano, alloggiato con la sua famiglia presso una residenza di campagna alle porte di Parigi dove il padre consigliere del presidente Wilson, è incaricato di trattare con i leader europei per la definizione di quello che diventerà il Trattato di Versailles (1919). La pellicola gioca ossessivamente con tutti gli elementi cinematografici che ha a disposizione per elaborare la metafora sul totalitarismo: lo scontro tra lo sterile e vigliacco mondo maschile dei diplomatici e quello femminile, al contrario domestico e vibrante, che circonda il bambino (con le tre profondamente diverse figure di donna che gestiscono la sua vita: l’austera mamma, la dolce governante e l’insegnante di francese interpretata da Stacy Martin), le angosce religiose, la musica assordante, la fotografia opprimente, i dialoghi sospesi. Una narrazione lenta, d'autore, che si prende tutto il tempo che vuole per mostrare il suo contenuto senza però essere verbosa ma anzi più estetica, immersiva.

Certo immersiva, grazie in particolare alle musiche di Scott Walker, geniale e oscura (per l'appunto) figura musicale degli ultimi decenni di storia della musica. Walker stesso addirittura elabora una colonna sonora dai rimandi al cinema thriller di Hitchcock. Per questo la visione del film pone lo spettatore in uno stato di inquietudine incombente e permanente: L’Infanzia Di Un Capo è la classica perla d’autore che ci si aspetta di trovare relegata in contesti festivalieri e che non necessariamente gode della visibilità che meriterebbe se e quando raggiunge il grande pubblico, ma che lascia il segno in chi lo guarda. L'alchimia tra letteratura, teatro e cinema fa diventare la pellicola di Brady Corbet misteriosa e affascinante, un punto di vista inaspettato per raccontare la storia. Senza contare poi il virtuosissimo (e pure suggestivo) finale dove la tecnica di ripresa (un roteamento scomposto della mdp, veramente geniale nel modo in cui viene proposto) e la colonna sonora creano quello che sarà il grande Moloch europeo.


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