Hara-Kiri: Death of a Samurai (2011) Triste vita e violenta morte di un Ronin

 


Era da un po' che non parlavo del prolifico Miike, maestro di ben tre distinti tempi cinematografici (intesi come genere) e restauratore (in patria) di vecchi classici del cinema nipponico. Non contento della meritata attenzione mondiale ottenuta rivitalizzzando la definizione di estremo applicata al cinema, Takashi ha affrontato una nuova sfida della sua lunghissima filmografia. Dimostrando a sé stesso e al mondo intero la propria cultura storica e cinematografica. 13 Assassins e Ichimei (Hara-Kiri) sono due pellicole, distribuite a pochi mesi di distanza, che omaggiano due cult (sono entrambi dei rifacimenti) e soprattutto guardano alla tradizione del jidaijeki, il period drama giapponese che ambienta le sue storie in quel lungo lasso di tempo corrispondente al periodo Tokigawa, tra il XVII e il XIX secolo.  L'indole di Miike non è mai stata legata a vincoli o compromessi creativi, infatti, "13 assassini" è stato lo stargate che conduceva al suo particolare cinema, unificando il suo personalissimo stile action al film storico, Ichimei ne segue lo stesso pensiero.


La pellicola orginale del 1962 diretta da Masaki Kobayashi viene fedelmente riportata (nella storia e narrazione), la trama vien da sé: Nel Giappone del XVII° secolo, il clan per il quale operava Hanshiro Tsugumoche crolla. Il samurai, ora disoccupato, arriva presso la residenza di Lord Iyi chiedendo il permesso di compiere suicidio rituale all'interno della proprietà. Gli uomini del clan di Iyi, credendo che il disperato ronin sia giunto lì solo per chiedere la carità, lo spingono a fare harakiri davanti ai loro occhi, sottovalutando però il suo onore e il suo passato. Se il classico di Kobayashi aveva un sottotesto politico e di critica sociale molto marcato, Miike invece rispettando la pellicola orginale mette in mostra un altro film. Ossessivo nella mesa in scena come composizione pittorica, mostrando la bellezzae la commovente povertà del Giappone rurale (grande fotografia di Nobuyasu Kita). A questo si aggiunge una violenza più verbale, nei dialoghi, accompagnata dalla  colonna sonora di Ryūichi Sakamoto.

Miike attraverso l'analessi temporale mette in mostra due film, mettendo in risalto in uno la famiglia e nell'altro la folgore divampante della violenza quando viene messa in moto. A Cannes la pellicole (accompagnata come si vede nel titolo da un ininfluente 3-D) venne criticata per la snaturalizzazione dellap ellicola originale a discapito della visione di Miike, ma secondo me la pellicola è ricca di momenti che onorano il suo predecessore e le differenze (così tanto contestate) sono indubbiamente il manifesto della personalità di un genio maturo della settima arte, il quale si confronta con la storia del proprio paese senza limiti e ingenuità commerciali. Con uno stile estremamente controllato, per non dire funereo, Miike mostra non tanto la morte di un uomo, quanto la morte di un mondo e del suo codice, una vuota scatola dove non esiste più compassione verso le disgrazie di coloro che in nome di questo codice hanno servito e combattutto. Un'ipocrisia che diventa crudeltà gratuita, togliendo ogni dignità persino nel momento della propria immolazione, dopo un'esistenza in cui caduti in disgrazia per la morte del proprio signore, si trovano in un contesto che li pone ai margini della società che si sta trasformando. Così tra nobili ancora ricchi e nuove classi di mercanti che stanno rapidamente emergendo, il samurai e la propria famiglia vivono la classica situazione dei reietti tipice dei film di Miike.

Commenti

Quello che tira di più