Candyman (2021) Come tramutare una leggenda urbana in una paura folkloristica, le mille strade del genere horror di Jordan Peele

 


Viviamo in tempi particolarissimi, tempi in cui il genere horror sembra essere tornato di voga sulla bocca di tutti, tanto che si sono venute a creare nuove terminologie per definirlo e per dargli un risalto che gli è sempre mancato (dicono loro) nella sua storia. Non è così ovviamente, per quanto le nuove generazioni possano sforzarsi di coniare parole per colmare la loro (più che naturale) lacunosità nel genere sin dai suoi albori, o per trasformare (peggio) il genere in qualcosa di artisticamente elitario nella sua trasformazione in età contemporanea, possiamo (grazie a dio) trovare cineasti come Jordan Peele che ben memori della grandezza, che l'horror si porta dietro, sanno con astuzia e azzardo tentare di riscrivere il mito, così da poter spolverare qualcosa che potrebbe risultare fuori corso con le tematiche odierne. Candyman, è uno di quei soggetti (nato da un racconto di Clive Barker) che ha le sue radici negli anni 90, esteticamente nella sua forma semplice è il Freddy Krueger formato afroamericano, però apre le porte a molteplici chiavi di lettura, senza dubbio la prima che viene alla mente è il razzismo violento e sociale che risiede in America, tanto che ancora nei giorni nostri non si è mai affievolito.Peele è figlio dei suoi tempi e anche furbo, il cineasta prende la primordiale idea alla base del soggetto e lo trasforma da leggenda urbana a figura folkloristica contemporanea, una mossa che gli riesce anche se con diverse sbavature, che possono essere viste come didascaliche, ma che non minano il valore nell'aggiornamento del mito horror.
La genesi di questo film ha delle radici un po' lontane, I piani per un altro film di Candyman iniziarono nei primi anni 2000, con il regista originale Bernard Rose che voleva realizzare un film antecendente a quello originale, basato su Candyman e l'amore per Helen. Tuttavia, lo studio rifiutò il progetto che entrò nel limbo delle produzioni mai nate. Nel 2018 però, Peele firmò come produttore per un nuovo film utilizzando la sua società, Monkeypaw Productions e successivamente, nel novembre dello stesso anno, confermò la produzione con Universal Pictures e Metro-Goldwyn-Mayer e ha collaborare con Rosenfeld per coprodurre il film, mentre la regista Nia DaCosta fu scelta per dirigere il film. La trama vien da sè: Anthony McCoy è un artista visivo che vive a Chicago con la sua ragazza, la direttrice della galleria d'arte Brianna Cartwright. Una notte, il fratello di Brianna, Troy condivide la leggenda metropolitana di Helen Lyle, una studentessa laureata bianca che ha avuto una follia omicida nei primi anni '90. La storia racconta che la sua furia è culminata in un falò al di fuori delle case popolari Cabrini-Green, a quel punto ha tentato di sacrificare un bambino. I residenti sono stati in grado di salvare la bambina da Helen prima che morisse nel fuoco in un apparente atto di auto-immolazione. Alla disperata ricerca di una scintilla creativa per dare una svolta alla sua carriera, Anthony si aggrappa a questa storia e vaga per Cabrini-Green in cerca di ispirazione.
Il risultato di questa rivitalizzazione ad opera di Peele è molto godibile, il suo assist creativo permette alla bravissima regista Nia DaCosta di poter usare in mille e vari modi la figura del Candyman. Gli specchi, gli omicidi efferati e senza dubbio le evocative creazioni narrative attraverso le marionette animate sono cose che rafforzano il valore del girato. Il cast è ottimo: la genialata di richiamare i protagonisti del primo è un valore aggiunto, Tony Todd si vede per poco, ma quel poco è tanto e si aspetta per tutto il tempo la sua apparizione, da menzionare (senza dubbio) anche Michael Hargrove con il suo Sherman Candyman che regala un bellissimo incipit al film. Nonostante delle imperfezioni di scrittura che risultano talvolta didascaliche e delle quanto discutibili caratterizzazioni dei personaggi, il culmine dietro al processo creativo è un azzardo riuscito benissimo, che mostra tutta la sua forza nel finale e nel discorso del personaggio Candyman, che regala alle generazioni future una figura nuova ma che rispecchia nella più che decorosa maniera la sua origine negli anni 90.

Commenti

  1. Davvero un ottimo modo per rendere leggendario il primo film, tramandato come folklore, rendendo Candyman molto attuale, insomma hanno fatto un buon lavoro anche se il primo Candyman era dalla parte di tutti i reietti, però ho apprezzato il cambiamento. Cheers!

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  2. Ho apprezzato molto la rilettura "moderna" di questo classico dell'horror, però avrei puntato un po' più sul gore!

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    1. Forse, per Peele la violenza a livello socio-razzaile era la parte più violenta. Su quello comunque hai ragione, più sangue visto il soggetto di partenza si poteva anche chiedere.

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  3. Ho apprezzato anch'io, e forse sono stato troppo tiepido nel dargli solo 6+, in certi frangenti più bello del primo, in altri però meno coraggioso.

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    1. Senza dubbio Rock Saba, per i puristi del primo, sicuramente il freno a mano sulla violenza vera e propria è una di quelle cose su cui non si può chiudere un occhio.

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