La Double Vie de Véronique (1991) La doppia vita di Veronica ovvero io sono un'altra, il tema del doppio secondo Krzysztof Kieślowski

 



Era da parecchio tempo che volevo riproporre il tema del doppio del cinema, che ha radici profonde già nella letteratura, non per niente il poeta francese Arthur Rimbaud nella sua “Lettera del Veggente” affermava: < È falso dire "Io penso" si dovrebbe dire "Mi si pensa". – Scusi il gioco di parole: IO è un altro.>. Il tema è stato ampiamente affrontato da vari maestri del cinema: Hitchcock, De Palma, Verhoeven e tanti altri, di base si regge su due tipologie: il doppio per offendere e il doppio per difendere e il film che porto oggi in visione è sicuramente da legare al tema del “doppio per difendere”. Tra le altre cose, “La Double Vie de Véronique” compie trent’anni da quando è uscito (1991) e mi sembrava giusto citarlo e mettere in gioco anche un gigante del cinema europeo che porta il nome di Krzysztof Kieślowski.Oltre che essere legato alla filmografia del regista è anche un lampante esempio di cosa possa fare una mente luminare dietro alla telecamera e in fase di scrittura, non per niente il film è stato premiato a Cannes per la sua bellezza intrinseca. Kieslowski in origine, per i ruoli del marionettista Alexandre Fabbri e di Veronica, aveva pensato rispettivamente a Nanni Moretti ed Andie MacDowell. Per la protagonista venne poi contattata Juliette Binoche che però fu costretta a declinare l'offerta, in quanto occupata con le riprese di Gli amanti del Pont-Neuf. Fecero in seguito un provino Julie Delpy (senza successo) e Irène Jacob, che riuscì ad ottenere la parte. Curiosamente, queste ultime tre attrici saranno le protagoniste dei tre episodi della Trilogia dei colori.
La trama vien da sé: Weronika è una ragazza polacca con una voce sublime. Si sposta a Cracovia per far visita alla zia malata. Durante le prove di un coro cui assiste, Weronika, pur non facendone parte, si mette a cantare. In virtù di questo, è notata dalla direttrice di tale coro, la quale le chiede di fare un'audizione. Tale audizione ha, come ben prevedibile, esito positivo, e la talentuosa ragazza ottiene, così, la parte di voce solista in un concerto per coro e orchestra. Durante il concerto, però, Weronika cade a terra e muore. Qualche giorno prima del decesso, per le strade della città, aveva visto salire su un pullman una turista che, sorprendentemente, aveva il suo identico aspetto. Da simili premesse si può soltanto tessere una tela evocativa, criptica e senza alcun dubbio dominata da una poetica propria del cinema europeo. Il titolo del film indica, per l’appunto, la “doppia vita” di un’unica protagonista, due vite fino ad un certo punto pressoché identiche, ma che poi prendono strade opposte in virtù di scelte contrarie. In questo subentra il doppio che difende, perché al canto di fine vita dell’altra viene inviato un messaggio esistenziale all’altra, dal quale poi vengono prese scelte che proteggono la vita del secondo doppione (non cantare più per via dei problemi cardiaci). La prima mezzora è, letteralmente, cinema in stato di grazia: la fotografia di Sławomir Idziak, le composizioni di Zbigniew Preisner e la regia di Kieślowski culminano in una bellissima e drammatica scena di canto, che cita a sua volta il sommo Dante Alighieri, in cui viene fatto l'incipit del Secondo Canto del Paradiso.
Dopo il primo atto, film ricade nella vita dell’altra protagonista (o forse reale protagonista) nella quale vengono messi continuamente vari indizi (burattini, oggetti, riflessi) per risalire alla comprensione dell’esistenza dell’altra ormai perduta, in questo il personaggio del burattinaio fidanzato prende quasi le veste del regista che permette il ricongiungimento di queste due esistenze. Nello sguardo di Véronique posato sulla foto che ritrae Weronika si compie il senso del film, la meraviglia di una soggettività che si rivela per mezzo della somma esistenziale di due entità lontane e sconosciute. Le due Veronica potrebbero allora essere anche i due Kieslowski, trasferito dalla Polonia in Francia e morto anch’egli per cardiopatia, ma questo è solo un segno del destino artistico della persona. Ma tirando le somme: la cura per le ambientazioni e per la fotografia (alcune inquadrature sembrano foto d'autore), anche qui si gioca con i colori (dominano le tonalità del giallo e oro, giocando a volte con vetri e specchi) l'attenzione ai particolari, l'interpretazione intensa di Irene Jacob, il tutto è ad altissimi livelli, l'essenza stessa dei cinema d'autore. Ammalia ed affascina per tutta la sua durata, mantenendo i toni tra dramma e fiaba moderna, entrambe le "veroniche" appaino persone profondamente sensibili e vivono di emozioni intense e di passioni (musica ed amore fisico, spartiti e corpi nudi che si intrecciano). In tutta questa fiaba, comunque, il regista non si dimentica la trivialità della vita, delle menzogne e del suo esibizionismo.

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