Picnic at Hanging Rock (1975) Creare un mito cinematografico da un falso storico, il gruppo roccioso della perdizione di Peter Weir

 

Era da tempo che volevo parlare di questa pellicola, rigorosamente uscita fuori dal tempo creativo reazionario dei generi cinematografici negli anni Settanta, facente parte e in qualche modo capostipite di quella branca di soggetti cinematografici che hanno genesi da dei falsi storici, un esempio potrebbe essere The Blair Witch Project, anche se buona parte del suo falso è riconducibile a una campagna viriale di promozione più che alla motivazione come mezzo cinematografico, che è questo film in fondo quanto lo è il libro da cui è tratto. Joan Lindsay, la scrittrice, lasciò credere di aver preso spunto da fatti di cronaca, ma la storia era inventata, come inventato è l'articolo di giornale che compare alla fine del libro; del resto, il 14 febbraio 1900 non era un sabato, come non corrispondono alla realtà i giorni della settimana attribuiti alle altre date del libro. Tralasciando questo aspetto, il libro fu un successo e portò Patricia Lovell, produttrice australiana che lesse tale libro nel 1971, a volerne fare un adattamento cinematografico su suggerimento di Philip Adams. Da questa genesi di produzione si arriva all’elemento che ha permesso al film di rimanere così iconico fino ad oggi, parliamo del regista Peter Weir qui al suo secondo film e con il quale consacrò sé stesso al mondo assieme all’Australia nel panorama del cinema che conta. Oltretutto la pellicola è densa della poetica ermetista e sognante che il regista ha sempre fatto da lì in poi.
La trama vien da sé: Il 14 febbraio 1900, giorno di San Valentino, un gruppo di ragazze dell'aristocratico e vittoriano collegio Appleyard, a una cinquantina di chilometri da Melbourne in Australia, compiono una gita picnic ai piedi dell'immenso gruppo roccioso della Hanging Rock. Nel pomeriggio tre di esse, le più anziane tra le allieve, Miranda, Irma e Marion si allontanano verso il gruppo roccioso, seguite dalla più giovane Edith che però ritornerà indietro precipitosamente. Le tre ragazze sono scomparse senza lasciare traccia e si scopre che anche la professoressa di matematica, Greta McCraw, si è allontanata dall'area del picnic scomparendo nel nulla. A nulla valgono le lunghe ricerche; la giovane Edith è incapace di dare spiegazioni, poiché priva di memoria sull'accaduto. Nonostante lo svolgersi dei fatti, che ha comunque una base narrativa da film drammatico, ci troviamo in visione un film fatto poema onirico con un’estetica che richiama i quadri di Jean-Honoré Fragonard, non stupisce quindi che per ottenere l'aspetto di un dipinto impressionista per il film, il regista Weir e il direttore della cinematografia Russell Boyd si sono ispirati al lavoro del fotografo e regista britannico David Hamilton, che aveva drappeggiato diversi tipi di veli sull'obiettivo della sua fotocamera per produrre immagini diffuse e morbide. Boyd ha creato l'aspetto etereo e sognante di molte scene posizionando un semplice velo da sposa di vari spessori sull'obiettivo della sua fotocamera. Del resto se di un poema la potenza sta nelle parole che si usano, nel cinema il potere sta nei propri mezzi a disposizione quindi oltre alla fotografia vi è l’interessante lavoro fatto dal montatore Max Lemon che ne amplifica il valore. Non di meno poi la colonna sonora ipnotica e surreale, dove il tema principale derivava da due brani tradizionali rumeni: "Doina: Sus Pe Culmea Dealului" e "Doina Lui Petru Unc" con il rumeno Gheorghe Zamfir che suonava il flauto di Pan (o Panflauto) e lo svizzero Marcel Cellier l'organo. Il compositore australiano Bruce Smeaton ha anche fornito diverse composizioni originali (The Ascent Music e The Rock) scritte per il film.
Altra menzione per il sublime cast, in cui spicca la biondissima (e dall’aspetto stile Venere del Buonarrotti) Miranda impersonata da Anne Lambert che è forse punto focale delle divagazioni spirituali di cui il film è permeato. Aspetto interessante, le studentesse, attrici novelle, furono doppiate da professioniste. Tirando le somme, questo è uno di quel film in cui le immagini si legano alla musica creando un'atmosfera indicibile. Il dolcissimo suono delicato e antico del flauto di pan dà forma a sensazioni appese e da contemplare. Lento, dolce-amaro, trasognante, eterea e dai rimandi quasi esoterici di Poe o Lovecraft dove vengono citati inizio e fine (in luogo atavico e arcaico) d’esistenza anche oltre i semplici significati umani di tempo e spazio. Una pellicola affascinante e ammantata di mistero poche, con una esposizione narrativa ermetica e criptica (forse anche troppo), pregna di un'atmosfera onirica e surreale, rimanendo però al contempo molto legato alla natura dell'ambientazione. Riesce a trasmettere ansia ed angoscia da thriller/horror giocando solo di situazioni, dialoghi, detto/non detto e, su tutto, una regia magistrale. Elegante e raffinata la fotografia, in parte le bellissime interpreti, suggestiva la colonna sonora che forse è l'artefice della dimensione onirica stessa della pellicola, grazie a quel flauto di pan. Una pellicola ipnotica che nonostante il passare degli anni mantiene intatta la sua forza e bellezza.



Commenti

Quello che tira di più