Wolfen (1981) La licantropia come trasmigrazione spirituale di stampo sciamanico

Da un po' non trattavo il licantropismo a livello cinematografico, come da un po' non parlavo del particolarissimo cinema anni 80 e delle ibridazioni che attuava nei generi attraverso determinate produzioni. Tempo fa avevo menzionato come questa particolare decade abbia sfornato molti interessanti progetti riguardo al tema vampiristico, questo riguarda anche l'altro filone horror dedito alla licantropia. Segni che contraddistinguono questa pellicola sono due: il primo riguarda il regista Michael Wadleigh e il secondo è lo scrittore del libro da cui è tratto il film cioè Whitley Strieber. Il cineasta Wadleigh ha una singolare carriera alle spalle, premio Oscar per il documentario Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica nel 1970, che ne decretò il suo successo mondiale, ebbe poi modo di girare questo film (che non ebbe l'acclamazione del pubblico al botteghino) che ne concluse la sua carriera. Wadleigh è senza dubbio un figlio del suo tempo, guardandolo (prendete una foto a caso da internet) viene facilmente in mente la sua natura da figlio dei fiori con risvolti spirituali, indubbiamente queste peculiarità ne fanno il regista più adatto a questo singolare film sui lupi mannari.Questo ci porta al secondo punto, ovvero lo scrittore/sceneggiatore Whitley Strieber autore anche del soggetto che ha fatto da base per l'opera prima di Tony Scott. Wolfen (che è anche il termine con il quale i contadini tedeschi si riferivano ai Nativi Americani) è il libro di debutto dello scrittore, come il successivo The Hunger l'approccio alle tematiche, dei soggetti che tratta, hanno uno sviluppo divergente da quello canonico, in particolare Wolfen apre al pensiero di una forma sciamanica di licantropia, ricollegandola allo stesso tempo con la storia dei nativi americani e una visione di stampo ecologista.
La trama vien da sé: l'ex agente di polizia del NYPD Dewey Wilson si trova ad essere richiamato in servizio per investigare su una serie di brutali omicidi occorsi a New York che sembrano opera di aggressioni animali. Da notare come lo sviluppo narrativo segua quelle che sono le classiche basi dei film tipici degli anni 70, di base è un film poliziesco con suggestioni sovrannaturali da cinema horror, che però sono esposte nell'impianto visivo tipicamente da thriller. Non manca ovviamente il sangue, poco ma quando le bestie entrano in azione regala qualche bella scenetta sanguinolenta. Cosa che ha fatto scuola è senza dubbio l'uso della ripresa in-camera effect a funzione termografica, qui usata per la prima volta e poi riproposta ancora più iconicamente in Predator e Un lupo Mannaro Americano a Londra. Altra nota interessante è l'ambientazione: alcune scene del film furono girate nel degradato South Bronx (all'intersezione di Louis Nine Boulevard con Boston Road), la devastazione e desolazione dello scenario urbano con edifici bruciati e in rovina era reale e non furono necessari effetti speciali, il decadimento del Bronx all'inizio degli anni Ottanta era così diffuso che le location si rivelarono già perfette per la produzione, senza bisogno di scenografie apposite. Il cast poi è di tutto rispetto (si contano pure il regista e Tom Waits in ruoli celati), infatti oltre al veterano Albert Finney (preferito a Dustin Hoffman) che nella figura del detective fa sempre la sua bella figura, troviamo Gregory Hines che spalleggia il protagonista in modo molto divertente, Tom Noonan di Manhunter e Edward James Olmos noto a tutti poi con Blade Runner e anche per la serie Miami Vice. Diane Verona risulta l'unica quota rosa del film, se escludiamo la biondissima uccisa nell'incipit, il suo risulta più che altro un ruolo di contorno e anche essenzialmente non così funzionale alla trama.
La pellicola può passare in sordina visto che è uscita nell'anno più mannaro del cinema americano, dove uscirono nello stesso periodo altri due capisaldi molto rinomati, che sono: L'ululato di Joe Dante e Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis. Nonostante questo, la visione offerta della licantropia e in particolare di New York è molto onirica e suggestiva, il film nonostante abbia un'impostazione un po' troppo vecchio stampo fornisce le giuste dosi d'intrattenimento, divincolandosi tra il degrado urbano e le rivendicazioni ecologiste e spirituali dei nativi americani, quasi sfociando in un film neorealista d'orrore. Interessante poi come il regista fu estromesso prima dell'uscita del film, forse perché ritenuto troppo hippie, sostituito da John D. Hancock che esegui delle riprese aggiuntive e modificò i dialoghi nella post-produzione. Senza contare poi che la colonna sonora di James Horner, nel finale, contiene un tema musicale che verrà poi riutilizzato in Aliens di James Cameron. Ma l'aspetto più curioso riguarda i lupi utilizzati per le riprese, una dozzina di tiratori scelti della polizia furono impiegati e posizionati un po' ovunque in quanto i lupi erano considerati animali selvaggi e incontrollabili. A questi tiratori scelti fu stato ordinato di sparare per uccidere se un lupo fosse uscito dall'area recintata. Per queste e altre motivazioni menzionate precedentemente reputo il film una particolarissima variazione del licantropismo che non va sottovalutata, nonostante soffra di alcune pecche e rallentamenti nella parte centrale.


Commenti