Raise the Red Lantern (1991) Lanterne rosse, di Zhang Yimou. Un uomo, quattro mogli e un gioco al massacro


Visto che trovo il tempo e mi sembra anche il momento giusto, non vedo perché non parlare di un film che ha la mia stessa età anagrafica quando ho attimi liberi al di fuori delle mie tematiche di visione. Penso che basterebbe solo la frase del regista Gabriele Salvatores per descriverlo: - Pensavo che l'Oscar per miglior film straniero sarebbe andato a "Lanterne rosse"-, senza poi parlare del surreale incontro che ebbe poi con lo stesso regista, Zhang Yimou, nei bagni: - Io sono con l’Oscar in mano perché te lo consegnano senza nemmeno una scatola, lui sta sommessamente piangendo; ne è nato un dialogo dove io quasi mi scusavo e lui non capiva; poi lui ha guardato l’Oscar e mi ha detto qualcosa che per fortuna non ho capito -. Zhang Yimou al tempo era alla sua  seconda candidatura agli Oscar, due anni prima fu nominato per "Ju Dou" (pellicola tematicamente analoga a quella di cui parlo oggi), per il resto non vi è molto da dire sul cineasta che da ex direttore della fotografia è diventato il simbolo della "quinta generazione" cinematografica cinese nel giro di poche pellicole. L'Italia fu il primo paese che fece uscire nei cinema il film, vietato in Cina perché ritenuto sovversivo e anticomunista, dopo la vittoria del Leone d'argento per la regia a Venezia in un tempo in cui le opere "da festival" qui da noi avevano ancora successo al botteghino.

Scritto dallo sceneggiatore Ni Zhen prendendo come soggetto il romanzo "Mogli e concubine" dello scrittore contemporaneo Su Tong, "Lanterne rosse" (Dà Hóng Dēnglóng Gāogāo Guà, che tradotto letteralmente significa “Appendete in alto la grande lanterna rossa”) si presenta come un'analisi certosina della donna nella Cina feudale (nonostante sia ambientato negli anni Venti del 1900) ma, con astuzia, allo stesso tempo parla del presente nascondendosi dietro alla facciata del dramma/melodramma d'epoca. Cinema impegnato senza dubbio, ma anche un cinema tecnico in cui la telecamera mostra una prigione senza fine per queste donne, giocandosela attraverso i colori della fotografia (di Lun Yang e Fei Zhao) in cui la scelta di tonalità calde e fredde hanno la funzionalità narrativa del descrivere la situazione e status emotivo dei personaggi. Senza contare l'approccio della colonna sonora che riveste un altro ruolo importante. Il cast è limitato ma potente nelle rappresentazioni: la bellissima (e suoerba) Gong Li non si risparmia nelle sua capacità dominando la scena, ma anche Caifei He e Cuifen Cao offrono altri aspetti che aiutano la pellicola ad aumentare il suo valore della messa in scena.


La trama vien da sé: nella Cina degli anni Venti, la diciannovenne Songlian (Gong Li), indigente studentessa universitaria rimasta orfana di padre, viene chiesta in sposa dal ricco e maturo signorotto Chen Zuoquin (Ma Jingwu) diventandone la quarta moglie ufficiale e terza concubina. La ragazza scopre presto che non tutte le donne della “famiglia” ricevono le stesse attenzioni: ognuna delle quattro attende infatti ogni sera che davanti alla propria porta venga appesa quella lanterna rossa che indica non solo l’intenzione del marito di trascorrere la notte in loco, ma anche che la prescelta potrà godere di particolari privilegi per il giorno in corso e quello successivo. Da qui ne scaturisce un raffinatissimo e sontuoso gioco al massacro, dove Zhang Yimou adopera la telecamera e la fotografia con assoluta maestria. Mostrando una prigione, sia fisica che psicologica, patriarcale dove alle donne non resta solo che l'indifferenza, la pazzia o la morte per sfuggire ad un triste destino (nonostante la terza moglie dimostra come possa liberarsi, temporaneamente, attraverso il canto). In cui la figura dell'uomo non è mai messa a fuoco nella ripresa, quasi come messa sullo sfondo, ma che domina come fosse una presenza divina continuamente le donne, mettendo in lotta le figure femminili solo per la sua semplice attenzione.

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