Don't Breathe (2016) Mai rubare in casa del cieco



Capita a volte che nella prima decade del 2000 si possa incappare in piccoli gioielli di genere sul suolo americano (in particolare questo mi ha ricordato nel titolo il Don't di Edgar Wright nei trailer finti di Grindhouse), questa non è esattamente la prima volta, pellicole che hanno la facoltà di prendere un genere e rivoltarlo come un calzino grazie alla regia e alla sceneggiatura. Don't Breathe è uno di questi film, Fede Álvarez dopo essersi fatto notare nella rivisitazione nuova era di Evil Dead (sotto la guida del buon Raimi) se ne esce fuori con questo piccola gemma dal sapore vecchia scuola sulla carta. Il regista Uruguaiano dopo aver preso di petto le critiche (probabilmente senza fondamento) sulla truculenza sanguinaria di Evil Dead, decise di di voler dimostrare cosa poteva fare con una storia originale, basata sulla suspense e priva di qualsiasi elemento soprannaturale.

Tralasciando la scelta dell'antagonista (di cui parlerò dopo), il cineasta prende il genere home invasion e decide di ribaltarne il punto di vista e parti, così da rinfrescarne la vena cinematografica e poter scoprire nuove strade di narrazione. Così forte di un budget di nove milioni di dollari (e la supervisione produttiva sempre di Raimi), chiama nel cast: Daniel Zovatto, Dylan Minnette, Jane Levy (protagonista del suo precedente film) e il sempreverde Stephen Lang per poi andare in Ungheria a girare il film, nonostante la pellicola sia ambientata a Detroit poche sono state le riprese fatte sul luogo.


La trama nella sua semplicità vien da sé: Rocky vive in una situazione familiare insopportabile ed è pronta a tutto pur di abbandonare Detroit per il sole della California. Per amore, il fidanzato sbruffone Money e il timido Alex la aiutano a svaligiare appartamenti. Money crede di aver individuato il colpo grosso nel villino di un veterano della guerra del Golfo, rimasto cieco in seguito a una ferita, che ha incassato un risarcimento a molti zeri dopo un tragico incidente in cui ha perso l'unica figlia. I dubbi etici su un furto ai danni di una persona così vulnerabile svaniscono di fronte alla somma agognata, ma i tre scopriranno che il solitario abitante della casa è tutt'altro che indifeso di fronte a un'intrusione. Come avete letto la trama si basa sui soliti canoni, ma l'invertimento di parti e punto di vista grazie alla scenegiattura a quattro mani di Fede e Rodo Sayagues fa esplodere l'incedere narrativo. Il regista ha così modo di mettere in scena la storia grazie alla telecamera, innumerevoli sono  gli usi dell'effetto Vertigo o Dolly Zoom (ve lo ricorderete pure in Jaws di Spielberg dai) per esempio o la fantastica scelta ad un certo punto di spegnere le luci (per i personaggi): che ricorda molto l'angoscia scelta da Demme per l'epilogo del Silenzio degli Innocenti (ma questa volta senza visore notturno). Quindi la pellicola si basa su una solidissima direzione dietro alla mdp che poggia a sua volta le basi su una scrittura che quando parte non lascia il tempo d'abbassare la guardia. I "buoni ladri" sono ben rappresentati però quella che maggiormente brilla è la scream queen Jane Levy, lei come in Evil Dead si prende sul groppone l'empatia dello spettatore grazie al suo approfondimento da sognatrice che vuole uscire fuori dal fango e da una situazione disagiata. Ed ora veniamo a quello che è il pezzo più forte,  Stephen Lang  nel ruolo del cieco risulta un misto tra: Zatoichi, Furia Cieca, Travis Bickle, N'Dour di Geb e quell'ingegnere pazzo di Josef Fritzl (di cui i giornali hanno tantissimo parlato) quindi una vera e propria macchina da guerra piena di pazzia e calma allo stesso tempo.




Tralasciando il colpo di scena, forse prevedibile, in cui il proprietario di casa risulta essere inarrestabile e successivamente il fatto che sia un aguzzino sequestratore non rovina il suo prendersi il film creando vera e propria tensione. Vi è anche da dire che è uno degli stupratori cinematografici più gentiluomini che si siano visti, con questo mi riferisco alla sua peretta ingravidante che per nostra gioia gli verrà restituita indietro nel modo più liberatorio possibile dalla nostra protagonista coccinella. Stephen Lang ripeto, è uno di quei caratteristi che ad Hollywood fa sempre e che da sempre ha dimostrato la sua bravura, qui regala un antagonista fantastico: che tutti i film di genere dovrebbero avere per interpretazione, ed in particolare la fisicità del poter disporre della caratterizzazione che il peso divistico del personaggio fornisce nella narrazione. Tirando le fila quindi: senza asserragliarsi in un fortino di soluzioni facili o di cliché ridondanti per spaventare il pubblico, il film di Fede Alvarez si giova di una scrittura equilibrata e asciutta, di una regia coinvolgente e mai sopra le righe e di un ritmo serrato fatto di scelte mai banali o prevedibili. Attorno a una trama semplice (solo in superficie) e con un uso sapiente del colpo di scena, Don't Breathe costruisce progressivamente una vorticosa spirale di terrore misto a inquietudine, svelando una vicenda più ampia del previsto e senza mai dimenticare di raccontare in maniera cruda e diretta la (dis)umanità dei suoi protagonisti. Ma non è finita qui, Man in the Dark (titolo italiano che sembra un misto tra Man on the moon dei REM e Shot in the dark dei Black Sabbath) potrebbe avere un seguito già in cantiere. Sam Raimi ha detto al riguardo dell'idea di Fede sul seguito: <Si tratta dell’idea più geniale congegnata per un sequel che io abbia mai letto. Credetemi, non sto scherzando>. Staremo a vedere quindi, anche perchè a fronte di un budget di nove milioni questo gioiellino è riuscito ad incassarne 157 e passa in tutto il mondo.

Commenti

  1. Ho dei problemi con Fede Álvarez, che quando dovrebbe mostrare la violenza tira via la mano, però ci ho visto anche un omaggio a "La casa nera" di Craven, il che è un bene ;-) Cheers

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  2. Anche questo mi è piaciuto, e parecchio, un piccolo gioiellino di originalità e tensione ;)

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