The Second Civil War (1997) Il Dottor StranAmerica di Joe Dante


Torniamo come sempre nei calorosi e originali, a loro modo, anni 90 americani: culla dei più ricercati ritrattamenti in materia di genere. Questa volta trattiamo di un film nato per il piccolo schermo (la HBO) che da noi in Europa è uscito direttamente sul grande schermo. Gli americani son soliti rilasciare delle piccole gemme sulla TV via cavo, che i cultori sapientemente riescono ad afferrare quando si trovano in carestia di prodotti interessanti. Il regista in questione è Joe Dante, i suoi personalissimi cult parlano da soli e non hanno bisogno di presentazioni, un cineasta che può essere definito il contrappunto stilistico di un altro grande, Steven Spielberg. Ovviamente il vivavio americano offre tanti paragoni tra stili affini e paralleli, tra i tanti potrei citarvi i Fratelli Coen con Sam Raimi, però Joe e Steven seguono un'affinità che in pochi possono non notare, a meno che non stiamo parlando di teste e occhi ben attenti in visione, in questo caso se si dovesse fare un paragone The Second Civil War sta a Spielberg come 1941 sta a Dante. 
I film precedentemente citati anche se diversi attuano una sorta di demagogia dei periodi più bui vissuti sul suolo americano: 1941 con il suo fare bellico epico scanzonato e The Second Civil War con la sua totale messa alla berlina del governo americano. Certo Spielberg poi avrà modo di parlare della vera guerra civile americana in Lincoln, ma lì siamo già in altri tempi e in particolare un altro Steven. Dante è uno dei più più irriverenti, visionari e sottovalutati del suo tempo: capace di film fantasiosi e divertenti, in cui però vi era sempre sotterranea la critica sociale, il dipingere l’America come un paese violento, schizofrenico, militarista dietro la patina borghese.
La seconda guerra civile americana, guardandolo oggi sembra un film profetico, per quanto la storia sia ciclica negli eventi. La sceneggiatura firmata da Martyn Burke (sceneggiatore/regista canadese, autore di un certo Top Secret!, vedeva gli Stati Uniti ormai completamente cambiati dalle ondate migratorie. Carestie, guerre, crisi economiche, avevano spinto sempre più stranieri nel paese, trasformando Rhode Island in una gigantesca comunità cinese, Los Angeles da latinos ed afroamericani, l’Alabama aveva un numero sempre più alto di indiani e pakistani, il Nevada con una popolazione quasi interamente messicana. In una situazione così particolare, ad un anno dalle elezioni, il Governatore del piccolo Stato dell’Idaho (uno di quelli che anche in queste elezioni conta quasi nulla) rifiutava di accogliere dei profughi di guerra di origine pakistana, chiudeva i confini, cercando così di accaparrarsi i voti della destra xenofoba e suprematista. L’evento veniva gonfiato, rendendo il Presidente degli Stati Uniti (uomo debole e manovrabile) facile preda dei “falchi” alla Casa Bianca, ed innescando una contrapposizione sempre più accesa tra il piccolo Stato ed il Governo centrale. Da citare anche il bellissimo e variegato cast dove, per citarne due, troviamo il compianto Philiph Hartman nel ruolo del presidente degli Stati Uniti ed un Roger Corman nei panni di un gernerale veramente spassoso.
È una rappresentazione grottesca e fantapolitica della follia e paranoia americana nei confronti dell'immigrazione (non così "fantastica": nel 1957 Eisenhower irruppe con le forze armate in uno stato che si rifiutava di integrare a scuola le varie etnie); un'invettiva, scontata e retorica nella sostanza ma ancheferoce, forte di un ritmo vertiginoso che emula il "servizio giornalistico d'assalto" (della "NN", giocata sulla nota "CNN"), e di una regia sagace, capace di fare satira anche attraverso i dettagli. Dante e lo sceneggiatore Martyn Burke si scagliano tragicomicamente contro il sogno americano infranto o strumentalizzato, in mano a politici irresponsabili (il governatore secessionista che pensa più all'amante messicana che alla guerra che ha scatenato contro gli "stranieri"), incompetenti (un presidente fantoccio ma fotogenico, pilotato da un potente lobbista) o ipocriti (il governatore d'origine cinese che appoggia l'ondata di razzismo), a dementi guerrafondai (la famiglia-tipo americana: armata fino ai denti), ad opportunisti, a lobotomizzati dalle "soap opera" (l'ultimatum viene spostato in quanto coincide con la messa in onda di una popolare telenovela). Una farsa spassosa e pungente che si trasforma in orrore apocalittico, amaro e paradossale (la guerra scoppia per l'equivoco verbale fra secessione e successione), in uno dei più cattivi attacchi al sistema americano: potrebbe averlo girato Robert Altman. È stato scritto e pensato per un uso e consumo interno, qualche riferimento si perde per strada però la sceneggiatura è ottimamente calibrata. Ad ogni affermazione troviamo una battuta che annulla quanto affermato ed oltretutto il piccolo rimando a quella fantapolitica sdoganata con Strangelove di Kubrick è un basso che si sente per tutto il film.

(Celebrativa poi è quest'immagine, chiaro richiamo a Fuga da New York di John Carpenter che era ppunto ambientato nel 1997)

Commenti

  1. Senza dubbio, il fatto che poi sia uscito solo a livello televisivo ne valorizza ancora di più il contenuto da vedere assolutamente. Martyn Burke nel scrivere la sceneggiatura è stato magistrale.

    RispondiElimina
  2. Conoscevo un altro Joe, altri grandi suoi, non ricordo questo film..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Prova a dare uno sguardo al film in questione. E' una piccola bombetta!

      Elimina

Posta un commento