Apocalypto (2006) La civiltà Maya secondo Mel Gibson, le basi del genere d'avventura applicate al film storico



Nonostante ora, che mi ritrovo in vacanza, riesco nel proporvi una pellicola che ho sempre aspettato prima di prendere (nel giusto mood diranno certi) in visione. Già che ci sono, posso anche aggiungere Mel Gibson alla mia videoteca, qui presente su Once, attore e professionista da me sempre ammirato per la sua particolare personalità (e talento). Ebbi quasi modo di parlare di lui quando mi capitò, un po' di mesi fa, durante la rotazione delle pellicole dedicate alla figura di Gesù Cristo (dovute alla lettura del Caino di Saramago) ma, come sapete, alla fine la scelta ricadé su Scorsese. La genesi del film è da ricercarsi alla conclusione della Passione di Cristo e di una persona, Farhad Safinia: durante la lavorazione del film (nel 2004), nel quale, lavorava come assistente alla post-produzione. Farhad e Mel ebbero modo di conversare del proprio amore verso i film e di cosa li entusiasmasse nel fare cinema. In questa conversazione saltò fuori la passione per gli inseguimenti, tipici del genere d'avventura e azione, e di come l'odierna produzione fosse tutta assoggettata all'uso della computer grafica. La discussione alla fine volse verso una semplificazione e rinfrescamento del genere, così da poter offrire allo spettatore l'essenza di tale filone cinematografico. Non tramite la tecnologia o i macchinari, ma riducendolo alla sua forma più intensa, ossia un uomo che corre per la sua vita, e allo stesso tempo torna da qualcosa che conta per lui.

Oltretutto in questo periodo Mel aveva il vizio d'ambientazione storico/temporale alla Jean-Jacques Annaud, vien subito all'amo quindi la volontà di ritrarre ed esplorare un'antica cultura così com'era prima dell'arrivo degli Europei. Inizialmente in dubbio tra gli Aztechi e i Maya, alla fine scelsero i secondi, data sia la loro alta raffinatezza che il loro successivo declino. I due studiarono l'antica storia Maya leggendo i miti sulla creazione e sulla distruzione (inclusi testi sacri come il Popol Vuh, noto anche come Bibbia Maya), e si recarono in Guatemala, in Costa Rica e nella penisola dello Yucatán per esplorare le location delle riprese e visitare le rovine Maya. Per un maggior dettaglio del girato venne anche chiamato al lavoro, Richard D. Hansen, specializzato in cultura Maya e assistente professore di archeologia all'Idaho State University. Seguendo anche la stessa stilistica del film precedente la scelta del linguaggio ricade su quello contemporaneo dell'epoca dell'ambientazione, lingua maya yucateca, questo anche per immergere maggiormente gli spettatori nella storia. Nel cast tecnico poi fu aggiunto il truccatore Aldo Signoretti che seguì (assieme a Vittorio Sodano) un certosino lavoro di preparazione del materiale di scena, Tom Sanders alla scenografia invece sotto suggerimento di Gibson ricreò molte costruzioni presenti del film che rappresentano anche molti periodi storici differenti della cultura rappresentata. l cast, fatta eccezione per Rudy Youngblood (che venne scelto da Gibson perché rappresentava l'archetipo dell'eroe), Raoul Trujillo, Jonathan Brewer e Morris Birdyellowhead (tutti interpreti statunitensi di origini native americane), è prevalentemente composto da attori semi-sconosciuti messicani; inoltre, molte delle comparse sono nativi della zona. Con un budget di partenza di 40 milioni di dollari fu un successo mondiale e anche l'ultimo film Rated-R prodotto direttamente dalla Walt Disney.

Di critiche al tempo ne ho sentite tantissime, a partire dalle varie incongruenze storiche, alle abitudini del popolo Maya, fino ai paradossi legati all'eclissi solare e il suo reale formarsi. Ma sono tutte cose che, a me, non hanno dato alcun fastidio (Ridley Scott aveva già insegnato a inizio 2000 dove inizia il cinema e dove finisce il documentario al servizio della fantasia, per non dire anche prima), visto che alla fine dei conti è la maestosità dell'opera, l'intensità della regia nella sua applicazione primordiale (a un genere cinematografico) risulta l'aspetto più maledettamente affascinante, partendo dagli scenari suggestivi fino ad arrivare alla buonissima resa di alcune scene particolarmente crude e selvagge. Mel mira nel fare puro cinema, accantona il dettaglio della vita di ogni giorno e culturale per favorire il lato tribale e cruento della civiltà Maya mostrando il loro decadimento, facendo notare quanto alcune popolazioni indigene, indipendenti, fossero a loro modo vittima di ingiustizie legate alla sacralità delle loro divinità. Goliardicamente molti potrebbero accreditare la pellicola come un Cannibal Holocaust formato Maya lussuosissimo, ma è solo un'ironica visione d'insieme degli amanti di genere. La vera importanza della pellicola si mostra nell'idea da cui è stata generata, ovvero mettere in risalto e rivitalizzare l'avventura e l'inseguimento action riuscendoci minuziosamente, attraverso il mezzo storico d'ambientazione che nonostante le libertà poetiche segue una rigida fedeltà partendo, in primis senza dubbio, dall'idea della lingua del girato.
In fin dei conti è inutile girarci attorno, il film risplende della propria libertà poetica unita all'estro action infuso da Gibson nella regia. La ricostruzione accurata, il montaggio sonoro e l'uso dei costumi potrebbero rimandare a un'altra pellicola che tratta dei nativi d'America (del nord), ovviamente porgo tale paragone verso L'ultimo dei Mohicani diretto da un mostro del cinema, Michael Mann. Se Mann basava la regia (da manuale in un lavoro su commissione) su un libro molto di parte qui Mel amplia il raggio, a suo modo, mettendo quasi come falsa pistola di Céchov l'arrivo dei Conquistadores. Perché (sia chiaro!) non è un film storico sull'arrivo, nonostante possa sembrare la premessa, degli spagnoli ma è invece un'avvincente storia eroica all'interno della fase decadente della popolazione Maya che combacia, nel climax, con essa. I difetti presenti sono quei cliché del genere sul quale si sviluppa la narrazione consueta dei film d'avventura, però la violenza (efferata ma necessaria e reale nel contesto, per darne credibilità) e il realismo adottato all'interno del film forniscono un quadro meraviglioso che spazia dal misticismo atavico (la storia del vecchio del villaggio, la simbologia del giaguaro, sogni premonitori e l'eclissi) arrivando a combaciare con la semplicità delle emozioni umane (rabbia, amore, divertimento, vendetta) in un ritmo incalzante e senza scordarsi del già citato inseguimento che è corpus della pellicola. Del resto, nomen loquens dicono, Apocalypto in greco significa rivelazione e direi che senza dubbio si possa dire la stessa cosa anche di questo film.

Commenti

  1. Un po' troppo bistrattato, perché nonostante tutto funziona, anche se non certo a meraviglia.

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    1. Funziona a meraviglia per la storia che vuole raccontare, nel genere che rappresenta.

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