Deathtrap (1982) La trappola mortale di Sidney Lumet & Ira Levin, una critica ironicamente feroce al mondo dello spettacolo


 Avendo quasi unicamente parlato di pellicole abbastanza recenti ultimamente, in una veloce controllata delle bozze rimaste indietro durante questi anni, mi è saltato subito all'occhio un eccezionale lavoro che mischiava sapientemente: una regia da manuale, una sceneggiatura adattata da una pièce teatrale e una coppia di attori insolita ma degna di ogni possibile lode per quanto fatto su grande schermo. L'anno è l'82, il regista è il grande Sidney Lumet, il soggetto è tratto da un'opera teatrale di Ira Levin e la coppia di attori è composta da Michael Caine e dall'indimenticato Christopher Reeve; questi sono i pezzi sulla scacchiera artistica che compone questa (spesso) dimenticata pellicola, irta di trappole e tranelli tipiche della bassezza umana quando trama alle spalle del prossimo. Altra componente al team creativo è senza dubbio la sceneggiatrice Jay Presson Allen, un pezzo grosso che non ha bisogno di presentazioni essendo stata una delle donne più produttive e influenti a Hollywood: lavorò con Hitchcock per Marnie, ma anche in Cabaret, a Prince of the city (sempre assieme a Lumet) e infine anche qualche sprazzo negli anni 90 dove riscrisse la sceneggiatura di Copycat. Ultima menzione, che fa da passo ultimo di questo incipit, non stupitevi se durante la visione la pellicola vi rimandasse per assonanze di trama a un lungometraggio che porta il nome di Sleuth (di cui avevo già parlato), uscito esattamente dieci anni prima e che dimostra come il cinema possa essere ciclico (ma originale) nel ripetersi.

La pellicola al tempo fece un gran parlare di sé, ma solo per una piccolezza di trama che sinceramente vista con gli occhi di adesso fa ridere i polli. La scena del bacio gay tra Michael Caine e Christopher Reeve, scritta appositamente per il film ma non presente nella commedia originale di Ira Levin, fu molto discussa, Reeve raccontò che la scena fu osteggiata dal pubblico all'anteprima americana tenutasi a Denver (Colorado). Inoltre, il TIME magazine rivelò che le controversie legate al bacio costarono al film 10 milioni di dollari di incassi. Probabilmente il pubblico di tutti i giorni non era pronto a vedere Superman in atteggiamenti omosessuali, perché tale era l'immagine di Reeve che il fatto solo di cercare altri ruoli che divergessero dall'uomo Kripton gli creasse più di una bega nella sua carriera d'attore. Non ci credete? Jordan Schildcrout descrisse la partecipazione a una proiezione in cui un membro del pubblico urlò: - No, Superman, non farlo! -, al momento del bacio Caine-Reeve. Ma queste, come già detto sono piccolezze, passiamo invece a quella che è la pellicola.


Il risultato dopo la visione fa venire in mente solo tre parole: proprio niente male, senza dubbio (come detto prima) è chiaro che la presenza di Caine e parecchi contesti della sceneggiatura fanno venire in mente "Gli insospettabili" ma Lumet è sempre molto bravo a realizzare questi film da singola location, un suo ratto distintivo che per forza di cose combacia benissimo con il soggetto originale (teatrale ovviamente) che era l'opera di Ira Levin. Debiti con Sleuth a parte, il meccanismo su cui ruota questo giallo/thriller è abile nel suo saper essere avvincente, la sceneggiatura è sagace, gli interpreti dannatamente nella parte: Caine, istrionico come sempre e Reeve in un ruolo atipico funziona, così da dimostrare che nelle giuste produzioni era ben più che un supereroe. L'idea, mezzo narrativo del film, del furto di un romanzo (non cosa nuova: Analisi di un delitto e Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni per esempio) è solo un protesto per mettere in scena un tourbillon di situazioni incredibili e (molti, forse troppi) colpi di scena a effetto. Lumet, quale grande cineasta che è sempre stato, è perfettamente a suo agio nel muoversi tra le pieghe della storia e trarre il massimo da un cast ispirato. Nonostante sembra esserci troppa carne al fuoco e la scelta di un'unica unità di luogo richiama automaticamente i fasti di 12 Angry Men dello stesso regista, ma pensandoci anche Delitto perfetto di Hitchcock, visti i giochi "di gatto col topo" dei vari protagonisti. La storia teatralmente incastona i personaggi in un contesto dove niente è come sembra e i colpi di scena regnano sovrani, molti direbbero che è un'opera "minore" di Lumet (ma sapete come la penso), ma l'ironia e la critica al mondo dello spettacolo (di Ira Levin) è ferocemente ironica anche nel suo particolarissimo epilogo. L'ironia che aleggia sul film è azzeccata, senza dubbio, visto che i personaggi sono tutti messi sullo stesso piano: tratteggiati di sfumature grottesche e assurde quelli femminili; illuminati da uno stravagante fascino del male, che sottintende una curiosa omosessualità i maschili. Pecca forse di una ridondanza forzata in colpi ad effetto, ma tant'è, questo 'piccolo' grande film (Lumet è sempre a proprio agio nei film ambientati in unum loco) resta uno dei migliori del regista e va recuperato assolutamente.

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