The Counselor (2013) L'estetica di Ridley Scott & la verbosità di Cormac McCarthy, in memoria di Tony Scott
- Non è un piccolo desiderio per quanto ovviamente irrealizzabile aspirare al destino immortale di una pietra. Non è questo il senso dei gioielli? Esaltare la bellezza della donna amata significa riconoscere la sua fragilità e al tempo stesso la nobiltà di quella fragilità. Noi dichiariamo alle tenebre che non ci lasciamo condizionare dalla brevità della nostra vita... che noi rifiutiamo di farci sottomettere. -
Il film affronta temi come l'avidità, la mortalità, l'amore e la fiducia nel contesto del traffico di droga messicano. Le attività estremamente violente e sanguinarie dei cartelli della droga sono descritte mentre il Consigliere, un avvocato di alto livello, viene coinvolto in un traffico di droga nella travagliata Ciudad Juarez, zona di confine tra Messico e Texas. Difficile dire quale sia stato il risultato effettivo di questa commistione di abili giganti delle loro professioni, in cui l’intento era se non quello di proporre una versione differente di “Non è un paese per vecchi” dei Coen, in fin dei conti si sente quella vena che aveva reso speciale quella pellicola sia nella storia di base, che nei personaggi. Nella seconda metà del film, Jefe (interpretato da Rubén Blades) recita direttamente la poesia “Campos de Castilla” del poeta spagnolo Antonio Machado. "Caminante, no hay camino. Se hace camino al andar", che nel suo contesto originale si traduce come: Viandante, non c'è strada; la strada si fa man mano che procedi. Jefe condivide questo verso della poesia così come i dettagli sulle riflessioni di Machado riguardo alle prospettive della sua stessa vita dopo aver appreso che a sua moglie era stata diagnosticata la tubercolosi terminale. Jefe conclude dicendo al Consigliere: - Tu sei il mondo che hai creato. E quando cesserai di esistere, anche quel mondo che hai creato cesserà di esistere. -. Inutile anche sprecarsi sul cast creativo della pellicola (oltre ai due già citati): alla fotografia Dariusz Wolski, al montaggio Pietro Scalia, alla scenografia Arthur Max e ai costumi Janty Yates, in pratica una buona parte dei fidi collaboratori del regista stesso e professionisti d’alto livello. NOn scordiamoci poi il cast: Michael Fassbender, Penelope Cruz, Brad Pitt, Javier Bardem, Rosie Perez, Cameron Diaz, Natalie Dormer, Edgar Ramirez, John Leguizamo, Dean Norris e Bruno Ganz.
Come avrete notato, il team creativo della pellicola è d’altissimo livello, però fu un fallimento sia di critica che di pubblico ma dal canto mio penso che debba essere rivalutato. McCarthy usò un’ellittica nella struttura e dotta per enunciati dialogici, di un nichilismo talmente esasperato da spingere a chiedersi come sia stato possibile che una major hollywoodiana abbia dato luce verde a un tale progetto. Già sentire parlare divi "patinati" come Javier Bardem (che anche qui sfoggia una capigliatura inusuale, come nell’altro lavoro di Cormac) e Brad Pitt (anche qui pure lui a fare il cowboy, come nel debutto in “Thelma e Louise” sempre di Scott) di snuff movie, cavi taglia-teste (che mi hanno ricordato “Trauma” di Dario Argento e perversioni sessuali (memorabile l’anedotto del personaggio interpretato da Cameron Diaz che si scopa una macchina!) con quella libertà. Nonostante la poca originalità, la storia dell'avvocato che rimane invischiato nel mondo dei narcos (subendone poi la crudele ritorsione) è solo il mcguffin per un'analisi quasi soderberghiana del capitalismo industriale del cartello. E poi c'è Scott, che con quella manciata di scene violente dirette con grandissima classe e soprattutto una messinscena lussuosa ti racconta la metastasi delle superfici laccate come nella miglior tradizione del body-horror. Tutti gli attori sono calati benissimo nelle rispettive parti, ciascuno ha qualcosa di intrigante. I meglio riusciti, sono quello di Westray, un uomo viscido ma al tempo stesso con una personalità che colpisce, quello di Malkina (forse un canto del cigno per Cameron Diaz, con la sua donna ghepardo predatrice), donna dal fascino irresistibile ma al contempo diabolica che chiude il film in stile “Non è un paese per vecchi e pure Reiner nella sua estrema stravaganza. Il film è imperfetto senza dubbio (non prova nemmeno nel giocarsela con lo stile western moderno introdotto dai Coen, visto che avrebbe perso in partenza), bisogna ammettere che comunque i dialoghi possono risultare ridondanti/logorroici (tipici dello scrittore comunque), in cui McCarthy sembra quasi compiacersi, però non si rimane indifferenti al fascino che pervade la storia che è confezionato con estrema estetica rigorosa da Ridley Scott.
Il fallimento del film nel 2013 potrebbe essere ad una incxomprensione tra le aspettative e la forma da parte di critica e pubblico. La maggior parte delle persone non si aspettava che gli spacciatori pronunciassero lunghi monologhi che non sarebbero fuori luogo in un’opera di Sartre (in questo i dialoghi del venditore di diamanti interpretato da Bruno Ganz ne sono l'emblema). L'anima di questo film è assolutamente unica in un film di Hollywood della prima decade del 2000. Grazie ai sontuosi dettagli dell’occhio registico di Ridley Scott, McCarthy è in grado di spingere ancora oltre il suo consueto stile nichilista. Il sublime si trasforma nel ridicolo e viceversa. Il camp, per definizione, avviene involontariamente, ma si avverte che sia McCarthy che Scott hanno fatto la scelta consapevole di spingere i confini del gusto convenzionale oltre il punto di rottura. Si sente la poesia più cupamente sonora emergere dai personaggi più ridicoli, e viceversa. Le due narrazioni intrecciate – di doppi giochi e tradimenti, contrapposte alla macchina incessante e stridente del capitalismo ombra e alla spietatezza dell’immigrazione clandestina – sono sufficienti per farti affondare la testa dalla disperazione. "The Counselor" è uno dei film più esteticamente, politicamente e filosoficamente audaci degli ultimi tempi del regista Ridley, il tutto rimanendo fedele alla visione singolare e follemente nichilista di Cormac McCarthy. C'è bellezza, violenza, ilarità e vuoto, tutto in uno. Quando ripenso al cinema del 2013, mi viene in mente di Oscar Isaacs che arranca nella neve con un gatto, o le riprese ininterrotte di 17 minuti con Sandra Bullock che precipita nello spazio. ma anche di una Cameron Diaz che si scopa una macchina in uno dei film più strani/intriganti del genere che abbia visto negli ultimi anni. Per quanto mi riguarda quindi fu un ottimo tributo (non nello stile sia chiaro) di Tony Scott, in cui la cupezza faceva da sovrana.
Il film di cui i proseliti dello Scott sbagliato si guardano bene dal citare o dal guardare, poi ditemi se Tony non era il migliore in famiglia ;-) Cheers
RispondiEliminaÈ comunque una bestia strana questo film, al di fuori del tributo al fratello Tony.
Elimina