Special Effects (1984) Il regista killer di Larry Cohen

 


Finalmente sono riuscito nel ritornare alla visione di qualche pellicola facente parte di quella densa decade cinematografica che sono stati gli anni 80 (e per di piùche richiama il tema del doppio cinematografico), per lo più di un film che ho cercato in lungo e in largo trovandolo solamente sottotitolato, che festeggia i suoi quarant'anni di freschezza. Larry Cohen è sempre stato rinomato per aver realizzato film scadenti, sporchi e cruenti. Non il tipo di regista che ha ricevuto molto rispetto dai suoi contemporanei (o, nella maggior parte dei casi, in seguito). Erano spesso fil. di genere che assicuravano una scabrosa critica sociale. Il suo film più popolare e irriverente potrebbe essere "The Stuff", un film horror campy e tentacolare con effetti speciali pacchiani che ha dato un colpo di disapprovazione al consumismo americano negli anni '80. Un paio di anni prima aveva realizzato "Special Effects" (meno conosciuti o amato); un film che ora tocca una corda preveggente e si rivela estremamente influente su molti dei nostri attuali registi.Pochi registi hanno colto il marcio di New York come Cohen. Forse il suo miglior rivale in questo senso è Abel Ferrara, in effetti ne condivide un'attrice con i migliori di Ferrara; Zoë Lund. Lund non ha realizzato molti film prima che la sua carriera venisse tragicamente interrotta, ma la sua espressività con gli occhi spalancati e il carisma da top model hanno ancorato una manciata di performance incredibili (di cui èstata anche sceneggiatrice. Di solito si pensa a lei come a una stella del cinema muto degli ultimi giorni persa in un deserto di sfruttamento, o un precursore dell'attuale superstar emergente Anya Taylor-Joy (stessi occhi mistici).


La trama vien da sé: dopo aver ucciso un'attrice emergente, il regista Neville è intenzionato a dirigere un lungometraggio basato sul suo omicidio, mettendo in gioco il marito dell'attrice, una sosia della vittima e il detective dietro al caso. Cohen indubbiamente ha girato in modo economico e veloce, manca una finezza ma è anche il tipico modo con cui il regista ha sempre svolto i suoi lavori. C'è qualcosa di vagamente ballardiano nelle indagini di Cohen sul sesso, morte e voyeurismo qui. "Atrocity Exhibition" e "Crash" di Ballard erano incentrati sull'assassinio di JFK; quello che equivaleva a un film snuff di un cinegiornale amatoriale a cui milioni di persone furono esposte. La pellicola potrebbe essere facilmente digeriti come un'elaborazione di quell'esperienza; un'esplorazione di come è stato consumato, di come ha cambiato il consumatore e, nella sua forma più oscura, dei feticci che ha creato inconsciamente.




Probabilmente l'unica occasione castrante che può colpire certe pellicole interessanti è quella di ricevere una distribuzione non all'altezza delle proprie qualità, in questo, il film di Larry Cohen rientra senza ombra di dubbio logico oggettivo sulla settima arte. In un periodo particolarissimo americano (metà anni 80) in cui il cinema derivativo (da Hitchcock senza dubbio), erotico/voyeuristico, thriller e virtuoso di Brian De Palma andava alla grande, questo film aveva più di una carta da giocarsi per diventare un altro esemplare splendente di quel modo di fare cinema. Un esempio dello sceneggiatore/regista Larry Cohen nella sua forma concettualmente più audace. La sua sceneggiatura per questo film tocca l'egoismo di Hollywood, la crudeltà del mondo dello spettacolo, gli snuff film, il fascino corruttore che il cinema esercita sui neofiti e lavora anche con alcune allusioni a Hitchcock ("Vertigo" su tutti). Basa la sua insolita sceneggiatura su un approccio registico di basso profilo, da cinema guerriglia underground stile New York anni 70. I momenti più spettacolari sono l'omicidio che dà il via alla trama e il finale ambientato sempre in quel appartamento, ma il più efficace potrebbe essere un momento silenzioso e desolato in cui un cadavere viene abbandonato in un parcheggio isolato e coperto di neve a Coney Island. Oltretutto il cast ha dalla sua un Eric Bogosian che negli anni 80 era quasi sempre in stato di grazia in quasi ogni pellicola in cui si cimentava, qui il vestire i panni di un regista ribelle (sulla scia di Cimino o Bogdanovich) al passo dal fallimento e diabolicamente omicida ne regala un'altra sfumatura in carriera. Ma forse, chi colpisce veramente è la bellissima (maledettisima e bionda) Zoë Lund che ha sempre avuto una potenza d'impressione sulla pellicola davvero speciale, qui in un doppio ruolo davvero riuscito.

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