A Haunting in Venice (2023) Storie di fantasmi veneziani, sedute spiritiche e cellule grigie


Aspettavo Kenneth al varco, la notizia di un giallo dai risvolti paranormali che vede la figura di Poirot al centro del misterioso assassinio, a Venezia, di sicuro è una premessa che può fare gola a molti (me compreso). Avendo saltato il secondo capitolo, per via del casting poco ispirato (rispetto al film originale) questo che partiva da basi originali e senza ombre incombenti di giudizio come potevano essere i fantasmi di Lumet e Guillermin, era il miglior scenario per notare quanto Branagh avesse fatto suo il personaggio in tutti questi anni. Posso dire, senza ombra di dubbio, che ormai il suo Poirot è scevro da qualsiasi elaborazione troppo artistica e ben impostato sul genere che deve rappresentare, senza però sminuire l'originale e adattandolo al cinema contemporaneo nella miglior enfasi possibile.



Ovvio, tale ammodernamento non è esente da critiche sia da parte degli oltranzisti classici sia dagli spettatori casuali, ma questo non priva (secondo me) il fatto che io possa apprezzare un regista che s'impegna nel portare avanti un genere rispettandone tutti i cliché, topos e suggestive prassi metodiche d'analisi che il giallo alla Agatha Christie ha sempre rappresentato. Essendomi liberato da questa premessa, che deve essere comunque fatta per una visione d'insieme, la pellicola non si presenta patinata come Orient Express anzi è ancora meglio perché la messa in scena non rende troppo legnoso l'andamento narrativo (una chicca il richiamo a "Don't look now" di Nicolas Roeg nell'incipit, sicuramente tributo dei cinquant’anni del film). La complicità del fascino della Serenissima, una suggestiva location da sempre, è strutturata ottimamente dalla fotografia di Haris Zambarloukos, dalle scenografie di John Paul Kelly e dalle barocche composizioni di Hildur Guðnadóttir (una violoncellista islandese dallo spiccato talento, se permettete). Quello che prima ho citato riguardo all'originalità intrinseca del progetto, è uno dei migliori aspetti messo sul banco di prova al terzo atto di questa saga, dove finalmente Michael Green può togliersi dalla pedissequa necessità di rifarsi ai classici del passato ed elaborare una sceneggiatura libera e parzialmente basata su uno scritto della Christie ("Poirot e la strage degli innocenti" del 1969).


La trama gioca sul fatto che Poirot, la quintessenza della logica umana, debba trovarsi a confronto con il soprannaturale (di cui la cosa più implausibile del film è una cantina a Venezia), cosa che riesce ottimamente anche grazie al classico "trucco" plausibile che permette il mescolamento di questi elementi. I personaggi (tra poco ci arrivo), la casa infestata (che favoriscono uno stile molto alla Scooby-doo, per me gran complimento), la seduta spirituale e le visioni compensano quello che sulla carta dovrebbe risultare il classico omicidio umano per eccellenza (amore, interessi economici). Il cast di contorno è funzionale al giocoforza narrativo e dei suoi classici stereotipi: la madre iperprotettiva, il fidanzato arrivista, il dottore pazzo (con figlio diligente), la scrittrice di gialli ficcanaso (di sicuro autoironia delle stessa Christie nell'opera originale, la governante credente, la medium furba e i suoi assistenti orfani della guerra sono tutti un corollario ottimale e questo è un ottimo trampolino per il Poirot di Branagh.


Tra tutti, oltre al protagonista/regista mi viene da citare la solita Kelly Reilly (qui per mio piacere affetta da biondismo) che come la Pfeiffer in Orient Express tira fuori il miglior personaggio, il resto del cast va bene per quello che deve fare, pure Michelle Yeoh è interessante anche se marginale ai fini del compiersi della storia. Ultima cosa è la regia dello stesso Branagh che voglio citare, sfrutta intelligentemente il luogo dello svolgersi degli eventi (infarcito di tantissimi Angoli olandesi in ogni fotogramma, ne avrò contati almeno 10) mettendo i dettagli li dove gli servono e dove vuole che essi siano nel momento più ideale, non male pure l'uso del classico bianco e nero per fare analessi temporali che lo stesso sono gestite al meglio dal montaggio di Lucy Donaldson. Per me quanto mi riguarda se questo è l'andazzo del Poirot moderno, aspetto con impazienza un prossimo progetto.



Commenti

  1. Non pensavo, ma l'ho apprezzato molto grazie anche alla comprimaria. Inoltre è uno dei film con Riccardo Scamarcio che mi è piaciuto e siamo già a tre.

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