I Saw the Devil (2010) Mai giocare con il diavolo


Un diavolo va ucciso subito e non tormentato. Questa pellicola di Kim Ji-woon (di cui ha anche scritto il soggetto) è talmente non convenzionale, ipercinetico nella regia, disturbante e totalmente anarchica nella decostruzione del genere serial-killer che gli si può solo fare un grosso plauso per l'incredibile originalità della narrazione. Normalmente il revenge movie alla coreana (ovviamente della Corea del sud) non è mai stato qualcosa di banale, anzi, tutto il filone inaugurato da Park Chan-wook con "Mr. Vendetta" (nel 2002) ha sfoggiato una perla dopo l'altra, in questo lavoro del 2010 il diabolico Kim Ji-woon (un film di mezzo nella sua filmografia tra l'omaggio a Leone con "Il buono, il matto, il cattivo" e l'americanissmo "The Last Stand") alza ancora di più l'asticella sfiorando le vette di "Oldboy".




La ricerca della vendetta del protagonista (un agente dell'Intelligence) per quanto già vista, pure anche nel tormento della propria vittima (una serial-killer fuori di melone), si dipana per più di due ore, in una lenta e inesorabile discesa all'inferno che trascinerà lui e quello che di più caro gli era rimasto nel mondo del serial-killer da lui tormentato. Non dissimile dallo strabiliante "Seven" di David Fincher, la malasanità la fa da padrone assieme ad uno stile che può richiamare più di una volta l'estetica dei fratelli Coen. C'è una grazia nella brutalità di "I Saw the Devil" e un ricco strato di umanità nell'abisso che è la sua storia. I suoi personaggi sono tutti condannati fin dai primi minuti, e l'intero film suina come un requiem per le loro anime (almeno quelle che ne hanno ancora una). Ci viene offerta un'azione intensa, un'ironia grottesca. Eppure, al di sotto di tutto ciò si trova un'analisi del dolore e della rabbia, e di come queste emozioni possano peggiorare e svilupparsi su sé stesse in modo esponenziale fino a un punto critico di totale disastro. Nei suoi 150 minuti, questa è una perfetta coesione tra il neo-noir, il thriller horror, la black comedy e il drammatico



Altro merito, in particolare, va riconosciuto ai suoi interpreti: un Lee Byung-hun (lo Storm Shadow di G.I. Joe) nelle vesti di vittima/carnefice davvero interessante e un Choi Min-sik dannatamente fuori scala con il suo demonio fatto serial-killer, che mischia la pazzia del Joker di Ledger con la fatalità nichilista del mefistofelico Anton Chigurh di "Non è un paese per vecchi" dei Coen. Completano il quadro generale, puramente a livello tecnico, la ricercata colonna sonora di Mowg e la stupenda fotografia di Lee Mo-gae. Ovvio il film non è per nulla esenta da determinati difetti caratteriali dei generi che rappresenta nella sua sontuosa commistione, ma sono poco cosa e funzionali all'intrattenimento che da essi scaturisce.

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