Cat People (1942) Il bacio della pantera, di Jacques Tourneur
Un saggio su come girare un film horror che sa muoversi tra il drammatico e lo psicologico, altro non viene da pensare dopo aver visto questa pellicola di Jacques Tourneur (il maggior successo della RKO di Val Lewton). Immensamente intepretato da Simone Simon, davvero suggestiva (molto tragica tra le altre cose) la sua protagonista in bilico tra il terrore atavico, folkloristico e psicologico alla quale viene affiancata da degli ottimi interpreti come Kent Smith, Tom Conway e la biondissima Jane Randolph.
"Cat People" non è il solito film sui mostri del suo tempo. Come racconta la storia, un capo dello studio ordinò a un team di costruire un film basato solo sul titolo sciocco. Lottando controcorrente, hanno consapevolmente ideato un concetto più sottile. Nessun grande trucco, nessun castello, cimiteri o buffonate. Sono andati un po' più eleganti, ma cosa ti aspetteresti da RKO, lo stesso studio che ci ha regalato "Quarto potere", "King Kong" e la mossa di Randy Orton. Il film ha diversi meriti nella storia del cinema (dal tipico salto paura fino al classico "Lewton Bus"), di base è una struggente storia d'amore finito male tra due personalità molto diverse che si sono trovate attratte tra loro, dove misticismo e psicologia si fondono con un tocco horror di vera classe, senza mettere da parte le ottime intuizioni artistiche: fatte dal regista Jacques Tourneur, dal direttore della fotografia Nicholas Musuraca, dal montatore Mark Robson e senza dubbio dallo sceneggiatore DeWitt Bodeen. La pellicola dimostra come si possa suggestionare lo spettatore con abilità di regia, d'interpretazione, di fotografia e di scenario.
Le vere star di "Cat People" non sono i due protagonisti, ma il regista Jacques Tourneur e il direttore della fotografia Nicholas Musuraca. Il film è spesso bellissimo da guardare, il che è utile durante alcune delle scene di dialogo prolungate. Ogni fotogramma è intriso di oscurità e ombra. "Cat People" può sedersi comodamente tra il genere noir degli anni '40, non solo visivamente, ma anche nei suoi temi dell'altra donna pericolosa, la femme fatale. Uno psicodramma di 73 minuti di repressione sessuale e trauma generazionale latente, il tutto mentre è casualmente uno dei più grandi film in bianco e nero della storia del cinema per il genere che rappresenta. Riguardandolo, non sono solo i momenti del "bus" e della "piscina" a rimanere impressi, ma l'economia dei dialoghi e il modo in cui Jacques Tourneur gioca con le ombre del direttore della fotografia Nicholas Musuraca. La catarsi semplicemente percepita, ma mai vista, è così tangibilmente costruita tramite l'implicazione del terrore di Tourneur che lascia un tocco di malinconia che difficilmente si toglie di dosso.
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