Parthenope (2024) Παρθενόπη, la Napoli mitologica di Paolo Sorrentino
Esteticamente ipnotico quanto narrativamente evanescente (ma anche un suo fascino come in "The Dreamers" di Bernardo Bertolucci), forse un approccio più concatenato tra analessi e prolessi avrebbe giovato nel montaggio di Cristiano Travaglioli. Sorrentino ormai ha uno stile codificato, si potrebbe dire un manifesto di come gira un film partendo dalla fotografia fino ai personaggi che bene o male sono sempre i soliti. Il film riprende concettualmente idee che avevo già visto in "Baarìa" di Tornatore, in pratica un suggestivo spaccato temporale unito ad una percorso di formazione (emotivo/sessuale/ideologico) della protagonista (una musa davanti alla telecamera per il regista, in questo Celeste Dalla Porta buca lo schermo).
È risaputo che Napoli è stata fondata dai Greci nel VIII secolo a.C. in seguito alla seconda colonizzazione greca, vedasi Magna Grecia. D’altra parte, il mito racconta della greca Partenope (dal greco “vergine”, Παρθενόπη) come fondatrice della città. I miti sono tanti e diversi tra loro, ma una cosa che accomuna tutte le varianti è che Napoli è stata fondata con amore e per amore. A Napoli Partenope era venerata come dea protettrice; per esempio, Virgilio utilizzava il suo nome in senso metonimico e, da qui a partire dalla prima età moderna, con storici e cronisti aragonesi e barocchi, la sirena veniva utilizzata come esempio antonomastico di presunte caratteristiche dei napoletani o dei meridionali in genere, come la doppiezza o la lascivia.
Indubbiamente il film vive di quest'aura magica, ma anche degli incontri con personalità particolari come: il comandante Achille Lauro, lo scrittore americano John Cheever (immenso Gary Oldman), le due dive del cinema/teatro (Luisa Ranieri & Isabella Ferrari), il professore d'università di Silvio Orlandl (personaggio più riuscito anche per contesto narrativo) e il cardinale di Peppe Lanzetta (grande marpione) sono i fiori all'occhiello della storia che regala sia la bellezza quanto anche una vaghità (talvolta molto criptica "è fatto di acqua e sale") di contenuti talvolta (ma non sempre) molto superficiale nel suo voler essere esistenzialista. Resta comunque una pellicola che regala una certa magia, per i personaggi che la popolano e indubbiamente la fotografia di Daria D'Antonio è superlativa. Gran cast, da rivedere anche per cogliere certe sfumature con cui viene metaforizzata/descritta Napoli nella favolosa protagonista.
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