Juror #2 (2024) Fino a prova contraria 2.0, la parola al giurato (colpevole) di Clint Eastwood


Che si può dire ad un regista che a 94 anni gira un thriller a metà tra il drammatico e quello giudiziario in questo modo così eccelso (e anche ambiguo, quando si parla di giustizia divina e burocratica)? Niente, si può solo goderselo al cinema. Cast scelto al bacio oltretutto e gran bella sceneggiatura di Jonathan Abrams.



Un legal drama classico e solido, che sembra un thriller giudiziario, ma in realtà è un rompicapo morale ed etico. Grandi interpretazioni (Hoult, Collette, Simmons, Messina, Leslie Bibb, Kiefer, Francesca) al servizio della regia senza fronzoli e sicura di un mostro sacro come Eastwood. Nicholas Hoult è un giurato che si rende conto di avere un legame con il caso che gli è stato assegnato e improvvisamente scopre che due vite sono in bilico: quella dell'imputato e forse la sua. Non è un film appariscente, e certi espedienti narrativi vanno accettati per guadagnarsi l'equazione morale che lo guida, ma quella sospensione dell'incredulità è benvenuta quando le domande sono così avvincenti.



Questo è uno sguardo cupo e complesso sulla natura della giustizia, sulle realtà della redenzione e della guarigione, e sulla possibilità o meno di essere migliori del nostro peggior errore. L'idea che siamo malati quanto i nostri segreti mi ha colpito profondamente, e ho trovato le domande sulla responsabilità morale e sulle zone grigie etiche costantemente avvincenti. Le brave persone possono fare cose orribili, le cattive possono comunque essere innocenti; le persone possono davvero cambiare, ma questo cambiamento non eclissa la loro responsabilità, la giustizia non è semplice. Un bel dramma riflessivo per adulti, e il tipo di film che veniva celebrato ai tempi di Sidney Lumet, che purtroppo non se ne fanno più così spesso.




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