Paura nella città dei morti viventi (1980) L'orrore di Dunwich secondo Lucio Fulci



Ci pensavo su da diverso tempo a questa parte, quale modo migliore di festeggiare l'imminente giorno di ognissanti (globalizzato per grazia d'America in Halloween) con un film di un regista italiano che è tra i miei preferiti (e pure dal sempre citato Tarantino). Sto parlando di Lucio Fulci, essendo che colgo la palla al balzo, prendo tre esattamente tre piccioni con una fava: inaugurare la festa più mistica dell'anno, terminare la visione incominciata otto anni della Trilogia della morte e riaprire sul blog il paragrafo dedicato a Fulci. Scrivo riaprire perché già in passato ho parlato di Una lucertola con la pelle di donna (1971) & Non si sevizia un paperino (1972) di questo grande terroristica prolifico dei generi. Dunque Paura nella città dei morti viventi, tra le prime cose che posso citare è che questo risulta il mattone col quale Fulci ha costruito e personalizzato, alla propria maniera, la casa su cui ha edificato il genere Horror secondo il suo volere. Primo passo anche della Trilogia della morte (che nulla ha da invidiare se paragonata a quella dell'Apocalisse di Carpenteriana memoria) cominciata nel 1980 con questo film e proseguita poi con ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà (1981) e Quella villa accanto al cimitero (1981). La produzione del film incomincia direttamente subito dopo Luca il contrabbandiere, Lucio Fulci tornò all'horror. Il progetto era già stato avviato durante la lavorazione di Luca il contrabbandiere, tanto che quando Fulci ebbe il via libera dalla produzione lasciò il set del film, affidando la fine delle riprese al suo aiuto-regista Roberto Giandalia. 

Il soggetto e la sceneggiatura sono firmati dallo stesso regista assieme a Dardano Sacchetti (amico di penna con cui scrisse pure Zombi 2), le riprese cominciarono nell'aprile 1980 e durarono otto settimane. Le location furono a Savannah, in Georgia, per gli esterni, e Roma per gli interni e le scene che richiedevano l'impiego di effetti speciali. Le scenografie del film furono realizzate da Massimo Antonello Geleng, alla sua prima collaborazione con Fulci. Inizialmente il regista non era molto contento di Geleng, che fu imposto dalla produzione. Alla fine delle riprese, invece, Fulci apprezzò molto il lavoro di Geleng, tanto da richiamarlo spesso per effettuare le scenografie dei suoi film.  Savannah era in realtà una città abbastanza solare, non adatta alle atmosfere cupe del film. Per questo Geleng ricostruì il vento, la nebbia e la polvere. Alcune scene del film in esterni furono ricostruite in studio, a Roma. La casa che si vede nell'incipit del film, quella della medium, fu ricostruita agli studi De Paolis, come anche la casa di Sandra. I quadri presenti nella casa furono realizzati dallo stesso Geleng. I sotterranei che dalla tomba di padre Thomas conducono alla sua cappella furono ricostruiti in studio. La realizzazione durò un mese. La fotografia del film fu realizzata da Sergio Salvati, storico collaboratore di Fulci e la colonna sonora invece da Fabio Frizzi. Invece parlando del cast: il ruolo di Mary fu affidato a Catriona MacColl, qui alla sua prima interpretazione in un film di Fulci, che in seguito interpreterà anche ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero. Il ruolo di Peter Bell fu interpretato da Christopher George, apparso in molti western statunitensi. I rapporti tra l'attore e Fulci non furono molto buoni. Fulci, che aveva l'abitudine di dare un soprannome a tutti i membri della sua troupe, soprannominò George "il cane col sigaro". Il ruolo di Bob fu interpretato da Giovanni Lombardo Radice, attore molto noto agli amanti dei film horror italiani. Anche il rapporto di Fulci con Radice non fu molto buono sul set. Tom fu interpretato da Michele Soavi, futuro regista di film horror e allora agli esordi in veste di attore. Soavi partecipò al film anche in veste di aiuto regista. Antonella Interlenghi, che interpretò Emily, venne arrestata negli Stati Uniti durante le riprese del film. L'accusa fu oltraggio al pudore. L'attrice uscì su cauzione, pagata dalla produzione. In un piccolo ruolo, quello del becchino, appare Perry Pirkanen, reduce dal controverso e scioccante Cannibal Holocaust diretto da Ruggero Deodato nel 1979. 

La trama vien da sé: Il reverendo Thomas, che vive in una cittadina americana (Dunwich) costruita dove un tempo sorgeva la città delle streghe, si uccide. È l'inizio di una strage ad opera dei morti viventi da lui guidati. Una medium e un giornalista di New York e una psicanalista del posto sanno che per fermare il fenomeno bisogna distruggere la tomba del reverendo e penetrano nella cripta. Questo film omaggia esplicitamente i racconti di H. P. Lovecraft, e ne eredita buona parte del sentire, ma anche un po' di Poe (la sequenza della sepoltura prematura) e Stephen King (sono vari i riferimenti al suo Le notti di Salem). L'incipit della seduta spiritica se la gioca con il climax dell'apertura di Phenomena, un colpo dritto e senza pietà all'attenzione dello spettatore che si ritroverà catapultato attraverso scenari tenebrosi, sulfurei e sinistri, idealmente pregni di un male invisibile che regola le sorti dell’umanità. Fulci in questa pellicola spinge sui dettagli macabri, propinando un orrore tanto fisico e tangibile quanto assurdo nella sua comparsa: cadaveri putrescenti, vermi disgustosi, cervella in vista, interiora, urla nell’oscurità, sangue dalle pareti o specchi, finestre e pavimenti che detonano senza motivo. Una carovana dell’orrore in piena regola. Senza contare poi il cast che non viene mai meno alle interpretazioni che devono svolgere, oltretutto la presenza di bellissime attrici come: Catriona MacColl, Antonella Interlenghi Janet Agren risultano essere le scream girl che tutti noi vorremmo in una sventura dell'orrore. Fulci comunque non ci andò lieve neanche con il cast: la sequenza dell'assalto dei vermi fu girata con l'ausilio di veri vermi, gettati sui volti degli attori tramite enormi ventilatori. Alla fine delle riprese della scena, gli attori coinvolti ebbero delle crisi isteriche. Questo portò ad un clima talmente di tensione che qualche burlone pensò di mettere dei vermi nel tabacco di Fulci il quale se li fumò. In seguito, quando contrasse una serie di malattie, ipotizzò che fossero dovute proprio a quei vermi. Secondo l'operatore del film, Roberto Forges Davanzati, a introdurre i vermi fu Christopher George. 

Nonostante comunque la presenza di non morti nella trama questa non deve sviare dalla personalissima visione di Fulci, che è ben distante da quella critica a livello sociale presente nei film di Romero. Qui i non morti sono entità che sfuggono dalle normali leggi dell'anatomia e della fisica entrande nel mondo ignoto del male antico e mistico (a cui poi film recenti come The Void sempre si rifanno). C’è anche spazio per mostrare il valore del pregiudizio del paesino, sulla falsariga de Non si sevizia un paperino,  Il nichilismo di Fulci però si esprime in modo magistrale con scene che hanno segnato il cinema di genere: le lacrime di sangue, Mary Woodhouse sepolta viva e liberata a colpi di piccone (la sequenza fu girata in due giorni e le riprese furono spesso interrotte poiché la MacColl aveva attacchi di claustrofobia), le interiora rigurgitate (la scena fu realizzata con l'ausilio di una testa finta e di interiora di pecora), il trapanamento del cranio del povero  Bob e naturalmente la beffarda ed ambigua apocalisse finale. Si certo perché l'epilogo che inizia con la scoperta della tomba del prete è tutto un climax da manuale degni dal miglior Mario Bava fino a giungere al finale inaspettato sul finale felice. a sequenza finale fu suggerita da Vincenzo Tomassi, montatore del film, uno degli storici collaboratori di Fulci. «Il film finiva con il bambino che correva verso Jerry e Mary. Sembrava tutto bello. Tomassi disse: 'Perché non spacchiamo l'immagine in diversi pezzi e vediamo le loro facce fuori scena?'. Infatti, dopo aver girato, ci eravamo accorti che i due guardavano dubbiosi verso la macchina da presa. I critici ci hanno scritto sopra 500mila volte, dicendo che era stupendo... Questo dubbio, se il bambino era uno zombi o no, l'aveva inventato Tomassi. La gente lo accetta, perché l'orrore si accetta in quanto idea pura. La ragione non c'è... c'è l'idea pura», dichiarò il regista. 


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