lunedì 30 novembre 2020

Life (2017) Calvin da Marte

La genesi di questo film è cominciata nel 2015, Deadline Hollywood annunciò che Daniel Espinosa avrebbe diretto un film ambientato nello spazio e intitolato Life, da una sceneggiatura di Paul Wernick e Rhett Reese, sotto la produzione di Skydance Media e prevedeva nel cast: David Ellison, Dana Goldberg, Bonnie Curtis, e Julie Lynn. Successivamente la Paramount Pictures cercò di gestire i diritti di distribuzione del film, anche se l'accordo non fui mai confermato. Nel 2016, Rebecca Ferguson si aggiunse al cast, seguita da Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Olga Dihovichnaya, Ariyon Bakare ed infine Jake Gyllenhaal. Sony Pictures alla fine si aggiudicò i diritti di distribuzione mondiale e co-finanziareamento della, con Skydance.  Le riprese principali del film furono fatte agli Shepperton Studios di Londra. Per emulare la mancanza di gravità, gli attori sono stati sospesi da fili che sono finiti cancellati in post-produzione e la maggior parte degli effetti visivi sono stati gestiti da Double Negative, esclusi gli otto minuti iniziali del film, realizzati da Industrial Light & Magic utilizzando il modello ISS scolpito da Double Negative. Quella scena è stata descritta da Daniel Espinosa come "la versione inversa di Gravity. Gravity guarda la vastità dello spazio attraverso l'uno. Volevo guardare la claustrofobia."Espinosa ha detto che Life è stato girato per fare un film di fantascienza film che si lega a questo altro grande genere americano, che è il noir , con la morte del personaggio più carismatico che sembra essere il protagonista, usando Psycho come esempio, Espinosa ha spiegato che Reynolds era diventato la sua Janet Leigh. Il compositore Jon Ekstrand compose la colonna sonora mentre lavorava con Espinosa. Ekstrand mirava a creare una "colonna sonora atonale-horror con alcuni elementi melodici", per lo più incentrata sulla musica orchestrale mentre si apriva con toni più melodici e classici cinematografici per non rivelare le trappole horror all'inizio. Espinosa disse specificatamente a Ekstrand di cercare un suono che ricordasse Bernard Herrmann, con qualche influenza da György Ligeti per fare riferimento alla musica del 2001: Odissea nello spazio. 

Nel trailer di presentazione fu adoperato un filmato d'archivio di una folla che reagisce a Spider-Man che cattura Gwen Stacy di Spider-Man 3. Questo dettaglio (come al solito tra i fan) portò a teorie secondo cui Life era segretamente una storia di origine per il simbionte presente in Spider-Man 3, teoria resa più popolare dall'annuncio di un film su Venom per il 2018. Il giorno dopo che la storia è scoppiata, e che gli sceneggiatori di Life, Rhett Reese e Paul Wernick, avevano già scritto una sceneggiatura di Venom. Alla domanda su questa teoria in un'intervista a Collider, Daniel Espinosa confermò solamante di essere un fan di Venom. Parlando invece della trama: L'equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale riesce a recuperare con successo una sonda proveniente da Marte che era alla deriva nello spazio. Il team di astronauti, composto dal biologo Hugh Derry (paralizzato dalla vita in giù), l'ufficiale Miranda North, il comandante Ekaterina Golovkina, il tecnico Sho Murakami, l'ingegnere Rory Adams ed il dottor David Jordan, è incaricato di studiare il campione recuperato dalla sonda per trovare possibili forme di vita extraterrestre. Per prima cosa voglio far notare come tanti principi fondamentali del cinema di Carpenter siano sempre attuali, a discapito ovviamente del suo trattamento riservato da quelle canaglie di Hollywood. Perchè al di là della sua impronta moderna ha dentro di sè una variegata ispirazione dal cinema anni 80 senza se e senza ma.

Seconda cosa: ormai è parecchio difficoltoso essere originali nel cinema in particolare ad Hollywood. Tutte le strade sembra che siano già state percorse, molto abbondantemente atraverso i generi . Nemmeno la fantascienza sembra essere esclusa, genere che per definizione parrebbe offrire maggiori possibilità innovative in questi tempi moderni. Tali considerazioni sono valide anche per Life, che però è una visione interessante anche se aggiunge poco a game changer come Alien o La Cosa. L'altalenante regista Daniel Espinosa ( di cui non mi era dispiaciuto Safe house, mentre non ho mai visto Child 44) convince con questa storia ben girata negli spazi stretti ed ottimamente ricostruiti di una grande astronave . Naturalmente non mancano alcune leggerezze nella sceneggiatura. il vecchio vizio di toccare oggetti sconosciuti a discapito dei propri titoli scientifici sembra ormai un clichè dai tempi di Prometheus. Il tutto si svolge dentro una sonda spaziale che dopo aver raccolto un campione cellulare sul suolo marziano, incomincia a studiarlo e usando alcuni stratagemmi scientifici riescono anche a risvegliarlo da un sonno che dura chi sa da quanti millenni, tutto questo a le spese dello stesso equipaggio, che avrà di fronte un vero è proprio incubo, che ogni volta che si nutre di un essere vivente o altre fonti di nutrimento, diventa sempre più grande e pericoloso. Di conseguenza andremo a vedere il solito teatrino orrorifico e fatto anche bene per dirla tutta, dove i poveri astronauti faranno tutto il possibile per salvare loro e la terra dalla minaccia marziana, con l'equipaggio che via via, si va riducendo sino ai scontati due superstiti finali, ottimo il finale anarchico e cupo come Carpetner insegna. Interessante il cast con attori di rilievo, come Jake Gyllenhal (ben calanato nei panni dell'alienato spaziale) ormai una garanzia da molti anni, sorprendente Ryan Reynolds nel suo contenuto minutaggio ed ovviamente una sempre gradita sullo schermo Rebecca Ferguson. La colonna sonora è l'altra base su cui il film riesce a rendersi interessante assieme alal fotografia di Seamus McGarvey e alla già citata regia del regista cileno.

Ultimo appunto è per Calvin il marziano, che nel design risulta essere una delle creature più interessanti ed originali elaborate per un film del genere (assieme ai Neomorfi di Alien: Covenant). Il suo sviluppo la sua anatomia ricordano molto gli esseri presenti in The Abyss di James Cameron, ovviamente con una indole molto più letale e meno portata ai rischi dell'inquinamento globale.

domenica 29 novembre 2020

Cattivi Preferiti: Ray "Bones" Barboni



Ray "Bones" Barboni (Dennis Farina)

Caratteristiche: Gangster, pessimo carattere, strozzino

Film: Get Shorty di Barry Sonnenfeld del 1995

Frase: - Sono Ray Barboni di Miami! -

sabato 28 novembre 2020

Time Bandits (1981) Imaginationland Pt.1 di Terry Gilliam


Ultimamente avevo voglia di tuffarmi di nuovo nell'incredibile mondo immaginario creato da Terry Gilliam, anche perchè l'ultima mia pubblicazione, a suo riguardo, risale solo alla seconda parte del suo trittico dedicato al mondo dell'immaginazione: Brazil (1985). La trilogia dell'immaginazione di Gilliam basa la sua stessa natura su una bellissima idea: trattare la fuga dalla realtà, attraverso i voli pindarici, operata dalla mente in tre diversi fasi della vita degli esseri umani ovvero l'infanzia, l'età adulta e la vecchiaia. I banditi nel tempo è il secondo film diretto in solitaria dal regista ed affronta la fuga di un bambino da una realtà come sempre distopica evoluta attraverso il tempo passato. Terry Gilliam scrisse la sceneggiatura con il collega Michael Palin, discepolo dei Monty Python, che vediamo in piccole parti nel film con Shelley Duvall nei ruoli ricorrenti di Vincent e Pansy. Il film vanta alla produzione l'ex Beatle George Harrison, che ha scritto anche la canzone dei titoli di coda "Dream Away" appositamente per questo film. Harrison e il suo co-fondatore di HandMade (di cui questo film è il maggiore successo), Denis O'Brien, sono stati accreditati come produttori esecutivi del film. La trama vien da sé: Una notte, il piccolo Kevin, undicenne con carenze affettive (i suoi genitori sembrano preoccuparsi soltanto della casa e degli ettrodomestici), guarda stupefatto uscire dall'armadio della sua stanza un gruppo di simpatici gnomi che gli mostrano una straordinaria mappa. I visitatori gli spiegano in fretta che sulla carta in loro possesso sono indicate alcune porte dimensionali, veri e propri buchi nel tempo per spostarsi con facilità da un'epoca all'altra, e si mostrano ansiosi di riprendere il viaggio. Accompagnandosi agli gnomi, Kevin salta all'interno della storia e della fantasia e, vivendo straordinarie avventure, conosce personaggi celebri e leggendari come Agamennone, Robin Hood, Napoleone Bonaparte, e viaggia a bordo del Titanic (anticipando pure James Cameron aggiungo).



Gilliam sicuramente in questo film spiazza lo spettatorre ma allo stesso tempo riesce pure a divertirlo, usando un registro tipico dei fantasy degli anni 80 (La storia fantastica di Rob Reiner per esempio anche se di molto successiv). Il viaggio nel tempo è solo un irresistibile pretesto per sconvolgere i luoghi comuni e invitare a riflettere: tramite situazioni bizzarre, parodie argute e originali. Non rinnego che l'impianto narrativo possa risultare confuso e imprevedibile, però contiene tante tracce interessanti (che saranno poi le mura del cinema futuro dello stesso Gilliam) che nel complesso non fanno altro che porre a confronto gli ideali delle antiche società (in particolare di quella greca al tempo di Agamennone) e i fuorvianti idoli consumistici della modernità. Esilarante e intelligente la battuta finale - senza voler anticipare nulla - in cui il piccolo protagonista ammonisce i suoi insensibili genitori con in mano uno dei loro amati elettrodomestici elettronici: -Non lo toccate; è il male!-. 
Un curioso secondo passo nella carriera per Gilliam, I Banditi Del Tempo mostra, come al solito, il suo inventario di meravigliose idee, paesaggi sconfinati bloccati da barriere invisibili, personaggi completamente fuori dall'ordinario e scelte stilistiche ottime (la fotografia di Peter Biziou in primis senza poi contare il vaore scenografico sempre opulento e barocco/straniante). La sceneggiatura, scritta da Gilliam e il mitico Micheal Palin, mostra senz'altro una certa voglia di spedire lo spettatore da un paesaggio storico/visionario (dettagliatissimo tra costumi e dettagli storici) a un altro senza perdere troppo tempo, anche se alcuni passaggi risultano fini a se stessi senza aggiungere qualcosa allo sviluppo narrativo e propone alcuni, bizzarri, sviluppi. La strana compagnia protagonista, o per per meglio dire in toni tipicamenti inglesi: La compagnia della mappa, è divertente e ben selezionata dove spicca in particola l'interpretazione di David Rappaport. Senza poi contare lo scontro finale tra il bene ed il male, che sembra una summa di quello che vedremo poi nei film successivi del regista (Cowboy esclusi).


Il cast è monumentale: Kenny Baker, John Cleese (un Robin Hood veramente fuori di testa), Sean Connery (qui nel doppio ruolo di Agamenno e del pompiere nel finale), Ian Holm (nelel vesti di Napoleone), Michael Palin, Shelley Duvall, Peter Vaughan, Katherine Helmond, e Ralph Richardson. Tutti gli interpreti sono ben calati nei loro personaggi, su tutti  vorrrei citare David Warner (ve lo ricorderete tutti in Cane di paglia di Peckinpah): un signore del Male buffo ma allo tempo stesso, terrificante (doppiatto egregiamente da Marzocchi). Concludendo, in questo piccolo (secondo) inizio salgono a galla alcune imprecisioni e pregi che seguiranno questo straordinario regista per tutta la sua carriera, unica pecca forse una scrittura che non rende del tutto omogenea la trama, ed ancche nel dare a ogni personaggio il giusto tempo o il giusto significato. Quello che veramente importa però è il totale menefreghisimo nei meccanismi narrativi e non soliti della cinematografia adottatti da Gilliam, il che è un pregio, direi, se trattato con le giuste idee, cosa che in questo film riesce quasi totalmente, ma che nei lavori successivi (Brazil, Parnassus) risulta perfetto. Qui sotto una piccola citazione implementata nel titolo della recensione, visto che Gilliam (a cui assomiglia in parte) con i suoi film fa la stessa cosa.



venerdì 27 novembre 2020

Get Out (2017) La notte dei razzisti (ipocriti) viventi


Visto che siamo in tema di opere prime, penso che sia giunto il momento di parlare di questo film. Era da un po' che che volevo parlare di questa pellicola, lo sappiamo è stata praticamente ovunque (per i suoi giusti motivi) e sulla bocca di tutti dai "critici" fino a noi spettatori amanti della settima arte. Get Out è il debutto alla regia di Jordan Peele, che aveva già lavorato nella commedia, incluso lo sketch show Key & Peele. Jordan, prima del film, sentiva che i generi horror e commedia fossero molto simili, in quanto gran parte di essi basa le propria esposizione narrativa sui medesemi tempi cinematografici. The Stepford Wives (1975) fornì la prima ispirazione, su cui Peele ha unito i generi per evolvere la satira della realtà. Poiché il film tratta del razzismo, Peele ha affermato che la storia è "molto personale", nonostante si discosta rapidamente da qualsiasi cosa autobiografica. Peele fu presentato al produttore Sean McKittrick dal collega Keegan-Michael Key nel 2013, il regista ed il produttore s'incontrarono per un caffè a New Orleans dove gli fù proposta l'intera storia e di conseguenza vista l'originalità dell'idea furono trovati subito i fondi di produzione (tra i quali spicca il nome Blumhouse). Il film è stato girato in 23 giorni a Fairhope in Alabama, parte dei posti utilizzati sono anche 
la Barton Academy ed il distretto storico di Ashland a Mobile (sempre in Alabama).  Gli attori principali, Daniel Kaluuya e Allison Williams, sono stati scelti nel novembre 2015. Kaluuya fu stato scelto in base alla forza della sua interpretazione nell'episodio di Black Mirror "Fifteen Million Merits. La Williams fu scelta da Peele come una mossa subdola per disorientare il pubblico. Michael Abels invece fu chiamato per la colonna sonora del film, che Peele voleva con"voci distintamente nere e riferimenti musicali neri". Questa si rivelò però una sfida, poiché Peele scoprì che la musica afro-americana in genere ha quello che ha definì "come minimo, un barlume di speranza". Allo stesso tempo, Peele voleva anche evitare di avere riderimenti alla musica voodoo.

La trama vien da sé: Chris e Rose sono una bellissima coppia: lui è afroamericano, lei caucasica. Quando arriva il giorno del fatidico incontro con i genitori di Rose, Chris è titubante ma Rose garantisce che per loro il fatto non comporta il minimo problema. Ma sotto l'apparenza di un'accoglienza dalla cortesia affettata, Chris avverte sempre più che qualcosa non torna. Mettiamo subito una cosa in chiaro: Il cinema horror e la politica vantano una lunga relazione: La notte dei morti viventi di George Romero, Essi vivono di John Carpenter ma anche Society di Brian Yuzna. Anche per Jordan Peele, questa alchimia tra horror ed il cinema di genere, che raccoglie ogni cliché ed esigenza tipici di esso, aiuta a mandare un messaggio politico scomodo. L'ormai ex-presidenza repubblicana di Trump, dove la tirannica destra bianca dettava legge, non è però il diretto ricevente dell'accusa, come lo è in BlacKkKlansman di Spike Lee. Il commediografo afroamericano parla invece di quel razzismo ipocrità ed abbietto di chi avrebbe voluto Obama per un terzo mandato. Perchè i cattivi nel film non sono i redneck del sud o skinhead neonazisti, o il cosiddetto "alt-right". Sono invece liberali bianchi della classe media. La cosa che Get Out fa così bene è mostrare come, per quanto involontariamente, queste stesse persone possano rendere la vita così difficile e scomoda per i neri. Espone un'ignoranza e un'arroganza che da liberali che è stata autorizzata a peggiorare. È un atteggiamento, un'arroganza che nel film porta a un'orribile soluzione finale, ma in realtà porta a un compiacimento altrettanto pericoloso.


Tralasciando questo bellissimo ed intelligente aspetto, ottimamente implementato nel contesto narrativo a differenza di quello forzato nel Joker di Todd Philips, ci troviamo davanti ad una buonissima pellicola. Tralascianado i vari premi (addirittura un Oscar per un film horror, anche se come ho detto è più per fattore politico) ed incassi che ne hanno forse esaltato troppo il valore intrinseco per genere ci troviamo davanti ad un'ottima visione. Che prende la satira alla Romero e la mischia con un po' di fantascienza anni 50 come faceva John Carpenter. La scena migliore per me rimane quella della seduta ipnotica, che risulta uno spettacolo come impatto sullo schermo senza se e senza ma. 
Ho sentito parlare talmente bene che probabilmente mi aspettavo qualcosina di più, però a mio parere il film và effettivamente premiato soprattutto considerando che si tratti di una prima prova registica ed un primo approccio al mondo dell'horror da parte di Jordan Peele in maniera alquanto originale e spietata. La pellicola in realtà sembra più un thriller con classiche sfumature orrorifiche che sfociano più che altro nella fase finale. Non tutto convince a pieni voti, qualche limite in certe fasi si fa notare, vedi forse una prima parte un po' troppo lenta e dilungata che non si mescola benissimo col finale parecchio pompato in cui salta fuori tutta l'ira dell'opera. Però restano alti i valori positivi che si riescono ad apprezzare e che i piccoli difetti presenti non intaccano più di tanto sulla visione del film. Tra tutti un bellissimo cast che non viene mai meno alle proprie interpretazioni, in particolare voglio citare una ben ritrovata Catherine Keener.

martedì 24 novembre 2020

Bone Tomahawk (2015) L'opera prima di Steven Craig Zahler


Opera prima, che non sta a significare la prima opera che hai visto, ma più che altro il primo lavoro sul grande schermo per un regista. Come tutti sappiamo nel cinema odierno (e passato) il primo lavoro di un cineasta è il biglietto di presentazione (ed anche il battesimo del fuoco) di quella che è la sua stilistica, lo è sempre stato per tutti: Tarantino, Ridley, suo fratello Tony e cosi via, nessuno si è mai tirato indietro al primo ciak. Che dire quindi di Steven Craig Zahler: nato a Miami (quindi tutto Heat) nel 1973 ma Newyorkese di residenza, scrittore di romanzi che spaziano attraverso generi diversi, musicante dedito al metal e praticatore della settima arte fin dagli anni 90, da cui pure una sceneggiatura che scrisse ai tempi del sacro college diventò un film (The Incident del 2011), decide nel 2012 di essere pronto per il grande schermo del cinema che conta. Prima cosa chiama il cast: Kurt Russell, Richard Jenkins, Patrick Wilson, Matthew Fox, Sean Young, David Arquette, il compianto Sid Haig e la mia super stra favorita Lili Simmons, poi con un budget di quasi due milioni di ex presidenti morti prende telecamere e va a girare in California a Malibu. Vi direte voi qual è stato il risultato? ve lo dico subito. Un cult!
Non un cult immediato però, ma di quelli che nel tempo verrà rivalutato: per la sapienza nel saper mescolare i generi in un contesto come quello del cinema moderno, che poche volte si sente tirato in ballo, quando si tratta di dover intrattenere in modo personale (ed originale) senza catene della produzione che dettano legge. Ci troviamo di fronte quindi ad un western horror ben fatto: macabro e dannatamente violento quando si tratta d'esplodere. La scrittura sembra prendere da Leone quel tipo di narrativa spalmata su tutti i 132 minuti di durata, una di quelle esperienze di visione che si prende tutto il tempo del mondo ma che allo stesso modo, con inutito, mette tutti gli elementi che formano il quadro finale (sanguinolento) che rimanda molto ad altri registi italiani come Ruggero Deodato e Umberto Lenzi. Kurt Russell interpreta uno sceriffo nel selvaggio west che riunisce una squadra per salvare la dottoressa (e che gnocca di dottoressa dico io) locale chiamata Samantha (Lili Simmons) quando viene rapita da una tribù conosciuta come i Trogloditi. Quattro uomini escono per riaverla indietro: lo sceriffo, il marito di Samantha Arthur (Patrick Wilson), un veterano di nome Chicory (Richard Jenkins, ricorda molto Walter Brennan) e il dandy sinistro e vendicativo Brooder (Matthew Fox). Non c'è bisogno di dire che il viaggio e la fine del viaggio sono un calvario indicibile. I Trogloditi sono dei cannibali molto inquietanti, una versione di ogni specie horror che voi abbiate mai visto, e con un grido animale forte ed mostruoso. È davvero roba da nascondere sotto il sedile, ma girata con assoluta serietà e conoscenza di quello che si sta facendo, non mi spreco per Russell che ci regala il prototipo di quello che sarà poi John Ruth, in The Hateful Eight di Tarantino, caricandosi tutta la parte eroica tipica dei suoi film e del suo modo di recitare. Come molti suoi fratelli western, Bone Tomahawk può dire di essere un trattato sulla paranoia dei coloni nella frontiera sconosciuta, ma è anche un esercizio di genere: un film più spaventoso che un'opera su teste calde dal grilletto facile e dai cavalli ruspanti nel deserto.
Da citare assolutamente la colonna sonora fatta dallo stesso regista, che scandisce in ottimi modi le parti tranquille e quella bomba violentisisma del finale ed il gran montaggio a quattro mani di Greg D'Auria e Fred Raskin, si lo stesso Raskin che è ormai il montatore personale dei film di Tarantino dopo la morte di Sally Menke (di cui lo stesso Fred fu assistente in Kill Bill). Quindi concludendo: non siamo di fronte ad un comune cannibal-movie, ma ad un film che si concentra molto sui personaggi, tutti ben caratterizzati, forse un po stereotipati ma sicuramente d'effetto in una pellicola di questo genere. Western e horror non è una novità, però è altrettanto vero che non si è mai abusato della miscela fra questi due generi e quando succede è quasi sempre manna (insaguinata) dal cielo. Ma la cosa che più deve interessare è che questo è stato il primo passo di Craig e dalì fino ad oggi non si è più fermato.



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