Murder on the Orient Express (2017) La sagra del rifacimento (non totalmente) inutile, Hercules Poirot secondo Kenneth Branagh



Sono della ferma convinzione, che a livello artistico, determinati soggetti debbono (a ogni periodo storico) essere ripresi, rivisti, aggiornati e adattati a quella che è la visione contemporanea (nel bene o nel male). Questo punto di vista riguarda semplicisticamente che ogni: dieci, venti, trenta o quarant'anni è possibile mettere mano (sagge mani d'autore, io preferisco) a dei progetti che hanno segnato la storia di ogni arte, in questo caso della letteratura e del cinema. "Murder on the Orient Express" di Agatha Christie è un sempreverde o per meglio dire un manifesto di una storia che può essere sempre offerta agli spettatori, vuoi per il fascino dell'ambientazione ma anche per lo sviluppo narrativo e per non parlare della figura che rappresenta l'investigatore di origine belga, che porta il nome di Hercules Poirot, a livello mondiale. Avevo già parlato di questa notte degli inganni tempo fa, in quel caso, il progetto fu messo in mano a un gran cineasta come Sidney Lumet, nonostante agli occhi di molti possa sembrare vintage (per i moderni) e di commissione (per gli appassionati) resta un lavoro da manuale che attinge a piene mani dell'approccio tipico del regista alla settima e dal soggetto letterario di Christie. Nel tempo ci sono state anche altre rivisitazioni, ma a livello televisivo e quindi non terrò conto di esse nella disamina di questo rifacimento.


Come dicevo a più di quarant'anni di distanza e obbligo mettere mano a un film così particolare, anche solo per poter rinfrescare la mente degli appassionati su come una grande storia non perda mai le sue qualità e le sue idee attraverso l'incedere del tiranno tempo. Viviamo oltretutto in un periodo storico in cui la scarsità di progetti originali, a Hollywood, è una piaga che ha portato nel toccare bestie sacre che non dovevano per forza di cose essere ancora riesumate e aggiornate al nostro cinema contemporaneo. Non siamo nuovi a questi remake, ma di sicuro eravamo pronti per questo per le ragioni che ho già menzionato prima. Il progetto fu messo in mano a un regista molto particolare: Kenneth Branagh non ha bisogno di presentazioni, la sua fama precede i suoi lavori da molti anni a questa parte, sia che parliamo di teatro che di cinema davanti e dietro la telecamera. Branagh, da buon britannico, ha una sua visione d'insieme di come deve essere presentato un progetto e in queste sue peculiarità possiamo trovare cose come: l'amore per la teatralità, la pomposità classica della messa in scena e l'intimismo dedicato ai suoi personaggi. Tutti questi aggettivi che riguardano il suo stile era indubbio che finissero per influenzare quello che è il film è il suo risultato finale, lì dove Agatha Christie offriva uno stile asciutto (ma ripeto, esemplare) Kenneth lo infarcisce con le sue interpretazioni essendone il regista prima di tutto.

Non solo con Agatha però Kenneth si confronta, ma anche con il lascito del film di Lumet. Non stupisce quindi che la Bisset (che era nel film) suggerì a suo tempo a Branagh qualche accorgimento per variare la regia (lo spiegone finale per esempio). Il confronto tra queste tre teste artistiche si nota a occhio nudo, come cinema vuole, Lumet aveva uno stile molto più serrato e claustrofobico invece Kenneth da più respiro ai personaggi non limitando tutto al solo treno e dove Agatha suggeriva attraverso descrizioni le analisi mentali di Poirot qui Kenneth non si preoccupa di offrirle subito senza troppe meditazioni. L'approccio tecnico offre belle scelte di ripresa, un paio di piani sequenza, l'ambiguità simbolica dei riflessi negli interrogatori e l'uso del god eye (per la scena del crimine) sono tra i migliori aspetti che la costruzione narrativa ci mostra. Però questo non toglie che la visione personale di Poirot da parte del regista (e protagonista) risulti talvolta didascalica e si perda in scelte che possono far storcere il naso a molti fan accaniti del personaggio in questione. La sceneggiatura di Michael Green si dimostra all'altezza del compito, i rimandi del periodo storico sono ben calcolati e si adattano naturalmente nella storia, però anch'essa perde colpi in scelte che tendono nel creare risvolti troppo adrenalinici (quasi tipici del nostro cinema moderno) e che minano la lineare staticità narrativa che il racconto in originale usava per creare pathos, per l'imminente climax finale sulla soluzione del caso.

Ombre e luci in questo rifacimento, la scelta di Kenneth di usare la simmetria ossessiva per il bene e il male (ma anche in tutto) verso Poirot è una lama a doppio taglio, l'ironia tipica del personaggio non viene tolta e neanche la sua particolare personalità, a discapito però della dispersiva ricerca di una morale personale (molto teatrale) che snatura la vera essenza analitica dell'investigatore belga e il suo approccio al caso. Se con Albert Finney avevamo un Poirot istrionico qui con Kenneth abbiamo un Poirot shakespeariano, senza togliere però alcuni accorgimenti action al personaggio che ne donano un aspetto dannatamente moderno: il bastone, per esempio, diventa come una bat-cintura e viene adoperato come estensione stessa della personalità dell'investigatore. Di questa vena d'azione aggiunta alla storia, si deve molto forse a quello che Guy Ritchie fece al tempo con il suo Sherlock Holmes. Completa la discussione tecnica: il lavoro alla fotografia di Haris Zambarloukos (superbo, pieno di colori), la colonna sonora di Patrick Doyle (sempre adatta e che ha una piccola chicca cantata da Michelle Pfeiffer stessa), i costumi di Alexandra Byrne (perfetti e curatissimi) e le scenografie di Jim Clay (molto evocative e immersive).

Ultima parte di discussione è la particolarità di queste pellicole, parlo del super cast di attori e attrici che vi prende parte. Se al tempo di Lumet il parco degli attori (e delle attrici) era una vera arca di talento leggendario, in quello di Branagh troviamo un comparto artistico fatto di amici del regista, nuove leve e star affermate. Kenneth nel bene e nel male (come già prima menzionato) sta nella parte in modo godibilissimo, Johnny Depp probabilmente qui nel suo ultimo ruolo di successo al botteghino (prima della gogna mediatica) è una vittima/cattivo esemplare è rende bene le sue doti di caratterista, Daisy Ridley tolta del peso Guerre Stellari si dimostra sempre una brava attrice, la Cruz non sminuisce il ruolo che fu della Bergman mettendoci tutta la sua bravura, il duo Dench/Colman conferma il talento indiscutibile che hanno sempre dimostrato anche in ruoli minori, Lucy Boyton nei panni della bella nobile bionda dannata è un amore e seguono di scia Derek Jacobi, Josh Gad, Tom Bateman e Leslie Odom che rifiniscono con metodo i restanti personaggi. Ma la vera punta di diamante del progetto è la grande Michelle Pfeiffer (ironicamente rincalzo per la Jolie e la Theron) che per l'ennesima grande volta in carriera dimostra il suo talento graffiante, ci mette tutta quanta la credibilità che il personaggio nella storia deve avere. Esemplare la scena d'incontro tra Depp e la Pfeiffer, sembra quasi di assistere a un altro film, quando si parla di talento che buca lo schermo. Mi scordavo di menzionarvi Dafoe, qui in una grandissima tripla piccola interpretazione che da una caratura al personaggio in modo magistrale.

Tirando le somme questo nuovo adattamento del classico di Agatha Christie è un'operazione riuscita a metà o per meglio dire un rifacimento non completamente inutile. Ci troviamo davanti a un cinema che risulta comunque gradevole e appassionante, probabilmente perché a esserlo è il racconto in sé, con il piccolo richiamo a Lumet, visto che anche qui il cast corale è composto da diversi nomi non solo di primissima fascia e richiamo, ma anche di sicurissima abilità. In questo film ci sono anche un paio di cosette che mi sono persino piaciute di più rispetto al film di Lumet, aspetti certo non centrali ma credo che lo scopo principale dell'avventura di Branagh, nel riproporre il più famoso romanzo della Christie su grande schermo, sia probabilmente quella di offrire questo lavoro alle nuove generazioni. Tra le varianti offerte rispetto al film di Lumet troviamo però un minore equilibrio dei personaggi, molto più Poirotcentrico nel caso di Branagh, ed è forse questo il suo più grande limite.

Commenti

  1. Apprezzato molto. Non faccio paragoni col film passato, come hai detto tu è un adattamento dell'opera di Agatha Christie in chiave moderna. Anche il seguito non è stato male.

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    1. Quello è nella mia lista delle visioni, mancato al cinema ma nei prossimi non mancherò di vederlo. Christie fa bene al genere e Kenneth nonostante certe libertà comunque tiene banco dietro alla telecamera.

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