The Favourite (2018) Le duellanti di Yorgos Lanthimos, il triangolo di corte secondo la New Wave greca

 

Altra recensione in cantiere che avevo in serbo da molto tempo (visionato al cinema e di cui mi son fatto dare la gran locandina), ritratto la parentesi cominciata dei film in costume che tanto hanno messo in mostra nel cinema della golden age e quello moderno. Posso anche finalmente parlare di nuovo di quel interessante cineasta che è Yorgos, di cui avevo già parlato tempo fa. In questo soggetto cinematografico abbiamo due cose interessanti che fanno da apripista alla sua disamina: primo come la New wave greca si approccia ai generi tipicamente di stampo anglo-americano (comunque passo dovuto per ogni regista europeo e secondo di come Lanthimos si metta nuovamente alla ricerca di Kubrick, nel particolare con un'asticella di genere la quale è Barry Lyndon, che risulta essenzialmente l'apice dei film in costume di stampo moderno. Genesi di tale opera (per iniziare) è della sceneggiatrice Deborah Davis che scrisse il soggetto già nel 1998, che fu proposta al produttore Ceci Dempsey con il titolo di "The Balance of Power". Il sogetto riguardava il triangolo amoroso di corte tra: la regina Anna Stuart (Anna di Gran Bretagna), Abigail Hill (Baronessa Masham) cameriera proveniente da una famiglia decaduta e la nobildonna Sarah Churchill (Duchessa di Marlborough). Prima di lavorare alla sceneggiatura, la Davis aveva poca conoscenza della regina Anna e dei suoi rapporti con Sarah Churchill e Abigail Masham. Scoprì poi un "triangolo femminile" attraverso la sua ricerca, che includeva lo studio delle lettere scritte dalla regina Anna, Sarah e Abigail. Massime fonti (storiche) della ricerca furono: Winston Churchill che descrisse la storia dei suoi antenati e il diario personale di Sarah Churchill in cui scriveva di come fosse stata sostituita a favore della regina da Abigail e di come Abigail fosse diventata la favorita (da qui l'ovvio titolo) in assoluto.

La produzione ebbe molta difficoltà a ottenere i finanziamenti per il film a causa del contenuto lesbico della sceneggiatura e della mancanza di rappresentazione maschile, cosa che i finanziatori ritenevano sarebbe stata una sfida per il mercato. Quasi un decennio dopo aver visto la prima bozza, il produttore Ed Guiney ottenne la sceneggiatura. Era anche attratto dalla complessa trama e dalle relazioni delle tre donne dicendo: - Non volevamo fare solo un altro dramma in costume britannico [volevamo] una storia che fosse contemporanea, pertinente e vibrante, non qualcosa uscito da un museo -. In questo periodo, Guiney conobbe Lanthimos, il cui film Dogtooth (2009) aveva ricevuto una nomination all'Oscar come miglior film in lingua straniera. Guiney si avvicinò a Lanthimos con la prospettiva di dirigere questo film, e Lanthimos è rimase immediatamente incuriosito dall'idea Lanthimos inizò a lavorare a stretto contatto con lo sceneggiatore Tony McNamara per rinfrescare la sceneggiatura. Del triangolo amoroso incentrato sulle lesbiche del film, Lanthimos scrisse nel 2018: - Il mio istinto fin dall'inizio è stato che non volevo che questo diventasse un problema nel film, per noi, come se stessimo cercando di metterlo in evidenza ... Non volevo nemmeno i personaggi nel film ne facessero un problema. Volevo solo trattare queste tre donne come esseri umani. Non importava che ci fossero relazioni dello stesso sesso. Ho smesso di pensarci molto presto nel processo -.

Il casting fu un passo cruciale per Lanthimos, che descrisse comecome istintivo. Mentre Colman era la sua unica scelta per La regina Anna, dopo che Winslet abbandonò il progetto, Lanthimos offrì il ruolo a Cate Blanchett prima di offrirlo a Weisz. Stone fece il provino dopo aver chiesto al suo agente di contattare Lanthimos, che ha poi chiese alla stessa Stone di lavorare con un insegnante di dialetti per assicurarsi di lavorare in modo creativo senza che l'accento fosse un ostacolo nel modo in cui volevamo lavorare. Tra gli altri come attori troviamo Nicholas Hoult e Joe Alwyn nei rispettivi panni di Robert Harley (1° conte di Oxford e conte di Mortimer) e Samuel Masham (1° Barone di Masham). La scenografa Fiona Crombie trasse ispirazione per la tavolozza dei colori del film dal pavimento in marmo bianco e nero a scacchi della Great Hall di Hatfield House. La costumista Sandy Powell cercò specificamente Lanthimos dato che ne era una grande fan. Voleva che l'ascesa al potere di Abigail si riflettesse nei suoi costumi, poiché voleva darle quella volgarità del nouveau riche, e i suoi vestiti diventavano un po' più audaci e appariscenti. Sebbene non intenzionalmente, Powell trasse ispirazione per gli abiti femminili e contrastanti di Sarah e il suo abbigliamento ricreativo maschile dai suoi primi modelli per il personaggio di Tilda Swinton in Orlando (1992). Infine Robbie Ryan, il direttore della fotografia, fu incentivato dal regista stesso a utilizzare prevalentemente tre tecniche per le riprese: il fisheye, il grandangolare e la luce naturale senza troppo ricorso all'illuminazione artificiale delle scene.
Quello di Lanthimos non è di base una tipologia di creatività affine ai più, in particolare quelli che di solito guardano film in costume classici. Lo stile del regista greco nel film è inalterato, nonostante sia venduto come prodotto Hollywoodiano (ma neanche troppo, vista la presenza di UK e Irlanda alla produzione) "commerciale" e "lineare" tra i suoi ultimi.  Il suo tipico modus operandi grottesco realista quì resta inalterato (ormai la scena della sega è d'obbligo nelle sue pellicole), ciò che varia (ma non troppo) è la narrazione (sceneggiatori diversi rispetto al solito) più aderente a canoni standard. Questa beneficia però al regista una maggiore concentrazione sui personaggi, in particolare sulle tre protagoniste (tutte splendide, dall'insicurezza fobica della Colman ai sadismi e all'egoismo di Weisz e Stone). Un gioco al massacro insomma, dove ciò che conta sembra essere la lotta tutta individuale per un posto al fianco del potere, le inquadrature di Lanthimos non sono solamente il mezzo tramite cui raccontarci e mettere in scena una storia, ma anche il come si inquadra il potere: lo sguardo di accusa è palese, così come il contrasto tra la magniloquenza ridondante della location (semplicemente meravigliosa) e le pacchianerie della nobiltà, tra bicchieri rotti a terra, corsa delle oche e tiro all'anatra. Il grandangolo (usato quasi pornograficamente in senso ossessivo) e la scenografia rende ancor più accentuato questo contrasto visivo, che è anche quello storico e politico tra il secolo dei lumi, è un potere flebile, disinteressato, legato al peggio dell'egoismo (quì femminile) fatto di avvelenamenti, giochi sessuali e puro arrivismo individualista.
Abbiamo anche echi Greenawayani ("I misteri del giardino di Compton House"), se non anche richiami all'estetica dei Duellanti di Ridley Scott oltre quelli pesantemente Kubrickiani ("Barry Lyndon") che si rincorrono in questo film sontuoso e barocco, eppure così inconfondibilmente personale. In una corte in cui gli uomini, femminei e imbellettati, sembrano provare più interesse per la corsa delle oche e il tiro al bersaglio con le anatre che per la politica, sono le donne a combattere crudelmente per il potere, in una lotta da virago senza esclusione di colpi che ha come obiettivo la conquista dei favori della regina, alcova compresa. Come Hollywood ci ha insegnato tante volte, chi parte svantaggiato, per natali e censo, non sempre è destinato a perdere: quello che conta alla fine è il talento, o magari il cinismo e un feroce istinto di sopravvivenza, tanto più importanti in una società fondata sul patriarcato e le differenze di classe. Lanthimos però non è affatto un regista hollywoodiano e, con il suo solito sguardo ambiguo e scettico, non sancisce in maniera classica vittorie e sconfitte, trionfi e fallimenti, ma accomuna vincitori e vinti in un destino comune, in cui venire esiliata o al contrario divenire la favorita della sovrana ha lo stesso amaro sapore di una libertà che sempre è costretta a soccombere (la visione finale dei conigli è un chiaro riferimento a questa condizione), gregaria e sottomessa, di fronte al potere, ancorché esso sia un potere malato, imbelle e capriccioso come quello della regina Anna.
In definitiva il fatto di non avere le usuali responsabilità della sceneggiatura, anziché penalizzare Lanthimos, lo libera al contrario dal peso di allegorie a volte troppo ingombranti e gli permette di concentrare il suo innegabile talento sull'aspetto squisitamente visivo del film. L'uso insistito del fish-eye e della illuminazione naturale conferisce risonanze sorprendenti sia ai claustrofobici interni della reggia che, più sporadicamente, agli ariosi esterni del parco e del bosco. Il resto del mondo è suggerito solo per fugaci allusioni e apparizioni e sembra lontanissimo (anche la stessa guerra con la Francia, che pure è al centro delle preoccupazioni e degli intrighi di tutta la corte), lasciando spazio solo al lussuoso palcoscenico in cui le strepitose Rachel Weisz ed Emma Stone (battessimo definitivo del fuoco per lei), con sofisticate perfidie e raffinatissimi "wits", si muovono come abili e scaltri giocatori alla ricerca della mossa definitiva e vincente per riuscire a dare "scacco alla regina". ma senza scordarci di Olivia Colman qui nel ruolo della vita che la cementifica e la mostra per il vero talento che è sempre stata davanti alla macchina da presa.
altra menzione aggiuntiva è (da parte mia) per la Stone: che nel cimentarsi in questo titanico ruolo (qui dedita al biondismo come piace a me), molto importante che ne svezza l'adolescenza artistica, ci mette pure il primo nudo della carriera. Che fantastica areola aggiungo io!

Commenti

  1. Sinceramente mi aspettavo di più, ma buon film, non solo per l'elegante messa in scena.

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    1. Senza dubbio, la bravura delle tre attrici ha una marcia in più che l'estetica può solo accennare.

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  2. Che film splendido, una gioia per gli occhi, innanzitutto, vista la fotografia e le scenografie che lo graziano. E che attrici incredibili!

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    1. Yorgos di meglio non poteva fare com questo soggetto. Molto più lineare ma non per questo al di fuori del suo solito modus operandi.

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