Old (2021) Life is a beach and then you die, la spiaggia assassina di M. Night Shyamalan

In questi tempi di mal tempo e avvicinamento del pieno inverno avevo ancora voglia di mare e spiaggia; quindi, non mi sorprende che io mi sia avvicinato a questo film, anche perché non avevo ancora trattato quella figura registica con cui sono cresciuto, mi sembra ovvio che il riferimento sia a M. Night Shyamalan, un cineasta che negli anni ha definito un proprio stile di cinema tra alti e bassi. Quindi ben venga una disamina su questo film: differentemente da molti altri lavori del suddetto regista questo è basato su un soggetto non scritto dal proprio pugno, le radici affondano nel fumetto Sandcastle scritto da Oscar Lévy e disegnato da Frederik Peeters. Lévi concepì inizialmente il fumetto come un mediometraggio, reputandolo il miglior media per mettere in mostra il soggetto, ma per motivi di produzione scelse la trasposizione cartacea che è arrivata nelle mani di Night grazie alla figlia.Non sorprende dunque questa mancata genesi cinematografica del soggetto, che dentro di sé porta diversi riferimenti, più o meno lampanti, alla settima arte dove troviamo: L’inizio del cammino [Walkabout, 1971] di Nicolas Roeg, Picnic ad Hanging Rock (Il lungo pomeriggio della morte) [Picnic at Hanging Rock, 1976] di Peter Weir, Kuroneko [id., 1968] di Kaneto Shindo e L’angelo sterminatore [El ángel exterminador, 1962] di Luis Buñuel, fino a Lo squalo [Jaws, 1975] di Steven Spielberg e gli episodi della serie Ai confini della realtà [The Twilight Zone, creata da Rod Serling, 1959-1964]. Diversi soggetti ma con una sola anima definita da uno spazio limitato e altamente evocativo che ne fa da traino alla storia.
La trama vien da sé: Una vacanza tropicale si trasforma in un orribile incubo quando una famiglia visita una spiaggia appartata che in qualche modo li sta facendo invecchiare rapidamente, riducendo la loro intera vita in un solo giorno. Una di quelle storie quasi da romanzo sci-fi della collana Urania, insomma, di quelle che si leggono sotto il sole cocente durante i mesi estivi dopo averla comprata in edicola senza starci troppo a pensare su. Night dal suo canto, dopo aver aggiustato e variato determinati elementi del fumetto, segue i passi che lo associano al grande Alfred Hitchcock (immancabile il suo piccolo ruolo nel film), in quella scelta della costruzione di una determinata suspense a favore di una visione ridotta (narrativamente sovrana a regime panottico), e compressa (visivamente) del mistero particellare che invade i personaggi sin dai primi fotogrammi. Interessante come il regista, tecnicamente, usa il punto di vista naturale della spiaggia (le riprese dal sentiero, ombrelloni etc.) a suo favore nella costruzione narrativa, non solo, avviene anche un largo uso di fuori fuoco e di immagini decentrate, ma anche di fuoricampo che nello svolgimento della storia creano divisioni e punti di riferimento molto interessanti tra i personaggi.
Non male pure la contro idea Scorsesiana di far invecchiare i personaggi tramite la scelta di vari attori somiglianti tra loro, così da favorire una continuità con lo spettatore. The Irishman per esempio giocava su questo aspetto per tener salda l’idea del trio d’attori, attraverso il tempo, qui invece è il contrario visto che non viene utilizzata una determinata tecnica degli effetti speciali ma ci si basa molto di più su una scelta certosina della regia. Il film in sé richiama tantissimi la poetica singolare di Night, sia dal mistero fino ai comportamenti degli stessi personaggi (pro e contro da sempre nella sua scrittura) per arrivare al finale tipico del regista che toglie il velo e mostra la verità. La fotografia di Mike Gioulakis è fondamentale, già curatore di opere importanti del nuovo horror statunitense come It Follows e Us, aiuta l’idea che Night ha del soggetto, avendo anche collaborato con lui in Split e Glass. La colonna sonora di Trevor Gureckis è quando di più funzionale possa essere all’andamento narrativo. Non male il numeroso cast nel quale troviamo: Gael Garcia Bernal, Vicky Krieps, Rufus Sewell, Ken Leung, la mia biondissima Abbey Lee (autrice forse della scena più horror nel film), Thomasin McKenzie, Embeth Davidtz e per finire un’altra delle mie biondissime (tinte) ovvero Francesca Eastwood. Tutti i personaggi ricoprono alla perfezione i loro ruoli, nonostante alcune pecche Shyamalane di scrittura che da sempre riconosciamo a un metro di distanza, le incomprensioni e ossessioni dei personaggi escono fuori naturalmente e talvolta in modi involontariamente divertenti. Tirando le somme, Shyamalan ci regala un ottimo prodotto d’intrattenimento, non privo di scelte autoriali che forse ne minano il suo potenziale, ma che mostra una storia interessante unita con quel tipico mistero che racchiude i suoi film.


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