Fearless (1993) Il canto della vita e della morte di Peter Weir, l'insostenibile peso dei sopravvissuti

Era da tanto tempo, ma davvero molto, che avevo come pallino in testa la visione di questa pellicola, incappai la prima volta in questo “Fearless” (che non è il titolo di quel gran film di Jet Li) di Peter Weir durante la mia personale rassegna dei film interpretati dal grande Jeff Bridges (venivo, allora, dalla folgorazione  del Grande Lebowski dei Coen). Per un motivo o per un altro, non potei passarlo sotto la mia voracità ma finalmente dopo tanto tempo, un po’ per coincidenza e un po’ per testardaggine sono riuscito a recuperarlo per i suoi trent’anni, essendo uscito nel 1993. Sceneggiato da Rafael Yglesias, che adatta per l’occasione il suo stesso romanzo omonimo per il grande schermo, basato sui fatti realmente accaduti dell’incidente del volo United Airlines 232. La pellicola fu presentata al 44esimo Festival di Berlino, successivamente Rosie Perez ebbe pure l’unica nomination agli Oscar per la sua interpretazione. Questo film per varie tematiche è indubbiamente un figlio della sua decade, in cui i disaster movie stavano vivendo la loro epoca d’oro e in particolare la tematica dei disastri aerei ebbe molte variazioni fino allo stop dato dai fatti del 9/11. Solo tempo dopo si ritornerà al genere grazie a “Cast Away” (prima) e “Flight” (dopo) di Zemeckis che con questo film condividono l’ottima tecnica nel ritrarre la rappresentazione di un incidente aereo.

In una placida giornata di sole il volo Intercity Airline 202 si schianta in un campo a Bakersfield, California, in seguito ad un guasto totale al sistema idraulico dei comandi di volo. Max Klein, architetto di San Francisco, si trova sull'aereo assieme al socio e amico Jeffrey Gordon. Max sopravvive assieme a pochi altri al disastro aereo e, portando con sé le conseguenze della sciagura, reagisce rivalutando completamente la sua vita e mettendo a dura prova il rapporto con la moglie Laura nel tentativo di affrontare sotto una nuova luce il mondo circostante. Egli è ritenuto da molti dei superstiti un salvatore e sviluppa quella che sembra essere una forma particolare di sindrome da stress post traumatico, tale per cui crede di essere immortale non avendo più paura di nulla, tanto meno di mettere di continuo in pericolo la propria vita e la stabilità dei suoi rapporti con la famiglia. Lo psicologo che ha in cura lui e i sopravvissuti lo avvicina a Carla, che affronta quotidianamente il peso della morte del figlioletto che era con lei sul volo 202. Mentre Max ritiene di essere invincibile e di non avere certo bisogno di un Dio cui chiedere aiuto, Carla vorrebbe morire e si affida alla religione per ritrovare un perdono che sente di non poter mai più avere.

Peter Weir dirige un gioiellino sempre in bilico tra realtà e soprannaturale, forse "minore" nella sua filmografia, potente e significativo. Un dramma esistenziale, fantasioso, che parla dell'elaborazione di un lutto e sui meccanismi del stress post-traumatico, ma anche sul significato della vita e della morte e sul potere dell'individuo nel controllare il "destino ultimo" di sé stesso e degli altri. Jeff Bridges incastona un altro significativo ruolo nella sua carriera, nei panni di un uomo che si crede invincibile e messianico ma incapace di salvare la sua vita dallo sfacelo. Poi abbiamo anche il contraltare di scrittura del personaggio di Bridges, interpretata da una grandissima Rosie Perez, che è incapace di superare la propria colpa. Un scontro di chiari e scuri usciti da un incidente catastrofico che cercano di salvarsi a vicenda. Un film scritto in maniera intelligente, inusuale, che si apre a molteplici chiavi di lettura e che non manca di emozionare, nonostante la lunghezza. Cast notevole che accompagna la storia dei suoi protagonisti: Isabella Rossellini (la dolce moglie), Tom Hulce (spregiudicato avvocato), Benicio Del Toro (Marito opportunista) e John Turturro (Psicologo filantropo). Fotografia azzeccata e simbolismi artistici interessanti che prendono spunto da Bosch e Gustave Doré.



Commenti

  1. Me lo ricordo bello, strambo e iponotico, un ripasso lo merita, anche se credo che titoli minori Peter Weir, non ne abbia mai fatti per davvero ;-) Cheers

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    1. Lo spaesamento iniziale dato da Jeff Bridges è quasi sovrannaturale e l'approccio di Weir non è da meno. Dopo la trama prende la sua via, ma quella particolare ambiguità rimane per tutto il film. Minore probabilmente perché lo sento sempre poco citare, il che è un peccato vista la sostanza che ha.

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  2. bellissimo film, io feci una rassegna cinque anni fa su peter weir e lo vidi in quell'occasione

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    1. Hai fatto bene nel recuperarlo, io nella mia testardaggine ho sempre voluto vederlo e avevo ragione. Unico.

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