Sonatine (1993) La piccola sonata della morte e della vita di Beat Takeshi
Questo è il quarto lungometraggio del Maestro Kitano, che fu presentato nella sezione Un Certain Regard del 46º Festival di Cannes. Il soggetto, la sceneggiatura, la regia e infine il montaggio sono ad opera di Beat Takeshi, il quale riesce personalmente a far quadrare tutto nella sua visione d'insieme senza mai idealizzare o stereotipare il tutto, vista anche la semplicità della trama che però racchiude in sé sia la comicità che la durezza (l'iperviolenza è un tratto del suo cinema) e infine la poesia, in particolare quella visiva portando ad un'alchimia veramente degna di nota. Altre menzioni vanno fatte sia per la fotografia di Yanagishima e la scenografia di Shibata, che raggiungono livelli artistici degni di una mostra di arte visiva moderna, nella quale trova spazio anche la poesia classica e il cinema contemporaneo.
La trama come detto prima non è stratificata, dopo una vita movimentata e pericolosa, raggiunta ormai una certa agiatezza economica, il criminale Murakawa non vuole più condurre quella vita ma il suo capo Kitajima lo obbliga ad un ultimo incarico, andare nella lontana isola di Okinawa per mettere fine ad una guerra tra bande rivali. Non appena arrivato Murakawa e i suoi compagni si rendono conto di essere stati traditi, e dopo un'iniziale fuga attenderanno il loro inevitabile destino, anche giocando, su una spiaggia assolata in cui il tempo sembra essersi fermato. Un'atmosfera di attesa, quasi una sospensione "onirica" interrotta da improvvisi scoppi di violenza, che agevola l'analisi introspettiva di un uomo consapevole del suo destino.
Sonatine, nonostante siano passati ormai trent'anni, è la conferma del grande talento di Kitano nel cinema mondiale. In Violent Cop la violenza era sovrana in un futuro senza speranze ammantato dal nichilismo umano. Qui invece risplendono sorrisi, scherzi e un clima di leggerezza unito alla semplicità dell'atmosfera idilliaca, che vale la pena d'essere vissuta, perchè segnata dalla complicità dei rapporti umani e dalla scoperta di un amore introdotto con romanticismo anche se impossibile da realizzarsi (visto che la morte è la destinazione finale). Una delle vette di Kitano che, ripercorrendo i sentieri della violenza nel mondo yakuza e dell'esistenzialismo nei temi, nelle immagini e nelle riflessioni, si ripeterà con Hana-bi. Costantemente in bilico tra comicità (la morra cinese, le buche, i combattimenti), malinconia (le bellissime musiche) e spietatezza (la strage in ascensore, la tortura in macchina). Una piccola sonata che lascia un senso di tristezza e di sconfitta amarissimo. Resta solo la natura incontaminata dell'isola, il vento che soffia sull'erba, il cielo che comincia a farsi grigio. E lo sguardo verso la strada, in attesa.
Folgorato dalla prima visione, ormai un po' di tempo fa. Kitano è unico.
RispondiEliminaUn gran bel film, intenso eppure etereo.
RispondiEliminaLo reputo il mio Kitano preferito, però anche preso al di fuori della filmografia del regista...è davvero difficile trovarne altri fatti così bene, in particolar modo nel cinema contemporaneo.
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