Nymphomaniac vol. 1 (2013) La Chiesa Orientale del sesso, Lars von Trier presenta: storia di una ninfomane [primo volume]



- Non riesco a sentire niente. Non riesco a sentire niente. Non sento niente... Non riesco a sentire niente! -


A distanza di ben dieci anni risulta (per me) ancora complicato dover fare un'analisi soggettiva per Nymphomaniac (reso gra[fica]mente con "()" al posto della "o") di Lars von Trier, pellicola spregiudicata e dannatamente provocatoria (si pensi solo ai poster di presentazione: lo sguardo in estasi del cast, un binomio di sofferenza/orgasmo dal richiamo blasfemo all'arte della raffigurazione dei martiri Cristiani) che aumenta il suo contenuto man mano che prende forma la narrazione, corposa al punto da perdermi io stesso nel doverla giudicare oggettivamente (essendo stato trafitto emotivamente da codesta opera del regista danese). Per questo ho scelto di dividerla in due parti (come i volumi di distribuzione fuori dall'Europa voluti dal regista, al contrario di “Kill Bill” di Tarantino), mettendola in analisi nella due dottrine di pensiero sviscerate nella sceneggiatura, ovvero quella Orientale (piacere) e quella Occidentale (dolore). Bisogna comunque precisare che i due film sono un'opera sola inscindibile, distribuita divisa in formato soft al mercato estero ,ma in suolo europeo è stato presentato a Berlino nella sua versione totale e senza tagli (sia per le censure che per la distribuzione).


Innanzitutto bisogna prendere i punti cardine della struttura narrativa e quelli prettamente tematici: la figura della donna (il percorso della protagonista Joe) e il suo sadomasochismo fisico/psicologico. L’opera in primis è la vita della protagonista ninfomane né più né meno, che segue una via di purificazione e punizione per tutta l’opera (i due volumi da cui essa è formata). Solenne e di stampo teatrale è l'incipit in cui viene introdotta la protagonista, in una notte fredda dove essa viene inquadrata al suolo (messa in una posizione religiosa) da cui poi scatta la fragorosa e grottesca Führe Mich dei Rammstein. L'overture suggerisce l’importanza e la centralità del comparto sonoro: l’unione tra quello che vediamo e quello che sentiamo creando la perfetta coincidenza narrativa, che chiude in modo esemplare il primo volume. Cogliere i dettagli voluti dall’approccio di Trier è una parte fondamentale della sua opera, così come la protagonista Joe prende esempio ispirandosi ai particolari presenti nella stanza di Seligman per creare la narrazione. La sinfonia di contrappunti alla Bach (elemento ricorrente anche a livello di sceneggiatura) voluta nel soggetto crea diversi sviluppi che si contrappongono ma che vengono inesorabilmente spazzati via quando prendono contatto con la vera natura delle cose, quadro come la già citata Führe Mich, che spazza via ogni rumore ambientale. Da citare anche la polifonia, che qui nel primo volume, è di fondamentale importanza perchè racchiude la ricerca della giovane Joe (ironia il fatto che il nome coincida con il titolo di un famoso brano di Hendrix riguardante un eroinomane, che è stato pure rifatto dalla stessa Charlotte per il film): la continua ricerca dell'orgasmo attraverso diverse sinfonie (uomini) nella sua vita fino al sopraggiungere dell'ironica/tremenda svolta del finale.


Nella stanza di Seligman che si ambienta la totalità del racconto. Un palcoscenico in cui i personaggi sono tagliati fuori da tutto il resto, se non dal racconto stesso che prende vita nella loro discussione, un teatro insomma  come Trier ci ha già abituati più di una volta. Il rapporto che si instaura tra Joe e Seligman durante il corso del film è particolarissmo: quasi come una relazione. Lui fornisce a lei l’ispirazione necessaria per iniziare il racconto: come se la narrazione di Joe iniziasse, a livello tematico, con un innesco che non le appartiene direttamente. Quelle di Joe e Seligman sono due narrative che si intrecciano: interrompendosi a vicenda, andando anche in d’accordo o in disaccordo su quello che dicono. La scena del treno è un esempio: Seligman spezza bruscamente la scena (nonché la Born to be Wild degli Steppenwolf). Seligman inoltre è un depositario di una cultura enorme: creando (anche attraverso immagini documentative) diverse connessioni di senso pronte a diventare innesco per ulteriori sviluppi del racconto. La negoziazione tra Joe e Seligman assicura che i desideri e le necessità di entrambi siano riconosciuti dall’altro.


I primi quattro capitoli che compongono il primo volume: The Complete Angler, Jeróme, Mrs. H, Delirium e The Little Organ School fanno un lavoro minuzioso nel descrivere la prima parte della vita di Joe. La ricerca del sesso (molto, tanto, esplicito come ci si aspettava), il rapporto con il sesso maschile (quasi come mero oggetto talvolta e altre come pulsazione vitale della propria vita) e indubbiamente anche la parte dedicata alla famiglia (i discorsi filosofici/biologici del padre, lo scontro con la madre), sono gli elementi che prendono forma nel contesto della storia e trovano  verso l'epilogo, la fine della spensieratezza e leggerezza della vita di questa ninfomane (con una geniale chiusura di contenuti a livello tematico con la musica). Fermandomi sul finale ancora un attimo: quel "non sento più niente" (servito tramite uno split screen triplo, che simboleggiava l'armonia sessuale creatasi) spazza via a livello emozionale qualsiasi dubbio sul destino incombente della protagonista, una presa di coscienza della realtà che annichilisce la sinfonia agrodolce elaborata fino a quel momento, con abile mossa Trier culmina contenuto e scenario in singolare affermazione. In tutto questo il cast è di prima mano: la bellissima Stacy Martin (qui nel suo primo ruolo importante) nei panni della giovane Joe ci mette l'anima (e corpo) per renderla un personaggio tridimensionale dannatamente vivo, il duo Stellan/Charlotte come citato prima è il fondamento della pellicola, la coppia Slater/Nielsen è un altro cardine della seconda narrazione, LeBeouf pure fa suo un ruolo non facile con grande professionalità e credibilità. Senza contare poi comparsate d'eccezione: una più che mai in forma Uma Thurman in una scena che vale da sola il film e il sempre gradito Udo Kier.


In conclusione la scelta creativa di von Trier (girare questo tipo di film spinto, porno, hardcore) segue il suo modus operandi di un cineasta virtuoso, audace e controverso. Usando come sfondo una tipologia di scelta autoriale che nonostante venga etichettata meramente come spartiacque tra un certo tipo di cinema e quello commerciale, con immagini di sesso esplicito da parte di auteur anti-hollywoodiani, nell’ottica (blandamente) estremistica di una rivendicazione di differenzialità. Il suo non è che uno sberleffo a questa particolare dinamica contemporanea ma anche una nuova via per concludere la sua "trilogia della depressione" nella quale la figura della donna fa da padrone. Non sorprendono i frequenti riferimenti storici, dottrinali, politici, tecnici, matematici, artistici, filosofici né la ferocia di alcune visioni: vandalizzando l’immaginario iconico per eccellenza (quello religioso) Nymphomaniac crea una mitologia blasfema, confondendo i santi con gli eretici e coronando di un’aureola perfino una ninfomane. Queste osservazioni concludono una comprensione più profonda di uno degli aspetti che sono parte integrante delle protagoniste della "trilogia della depressione": Il male di vivere delle donne im questi film non è un gesto redentivo né offre alcuna prospettiva salvifica, è un principio di ribellione alle urgenze del visivo cinematografico di cui si è parlato poco sopra che non significa nient’altro che sé stesso. 


Commenti

  1. Tanto scandalizzò all'epoca, tanto mi lasciò indifferente - se non per questioni di dubbia natura filmica...

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    1. Al tempo non ho avuto modo di seguire quella vicenda traversa, sicuramente per l'approccio da lui voluto tutto questo era impossibile da non evitare. Però del film non mi colpì più il fatto del mero sesso (Verhoeven in questo mi aveva svezzato già da un pezzo), invece l'approccio su diversi strati della storia quello sì. Quel continuo giostrarsi tra il mezzo cinematografico e quello concettuale insomma.

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  2. E' uno di quei film che avevo trovato tanto intelligenti a livello di struttura e regia quanto stupidissimi a livello di sceneggiatura, tanto che a quella citazione che hai inserito a inizio post avevo cominciato a ridere come una pazza.

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    1. Più che la sceneggiatura penso tu voglia parlare del soggetto di partenza, che è senza dubbio "banale". Però il livello tecnico è dannatamente accattivante.

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