Malignant (2021) La summa artistica di James Wan, vent'anni di carriera compressi in una pellicola



Per questa notte delle streghe (ormai passata, ora che scrivo) mi trovavo nella cruciale selezione di quale pellicola (horror) doveva riempire la mia macabra nottata, la mia scelta iniziale era quella di dedicarmi alla mia classica “zona comfort” che per questa volta comprendeva “The Thing” di John Carpenter o “Sleepy Hollow” di Tim Burton. Però, mentre riflettevo su cosa vedere mi è venuto in mente che avevo un titolo, nella mia cesta delle visioni in attesa (140 IN TOTALE!), che non avevo ancora visto ma di cui ne avevo sempre sentito parlare bene, questo titolo (che alla fine ho scelto) in questione era “Malignant”, uscito nel 2021 diretto da James Wan. Inutile che io stia qua a dirvi il peso divistico di tale regista/sceneggiatore/produttore alla corte delle produzioni Hollywoodiane, dove sta letteralmente dominando il mercato da ben vent’anni, senza mai incappare in fiaschi colossali o passi falsi, tutto questo in soli 11 film. Impressionante, guardandomi indietro vedo solo un regista che ha saputo fare la stessa cosa (che sta facendo lui), sto parlando di Barry Sonnenfeld solo che, nel suo caso, il grande successo durò solo nei dieci anni, quella decade di cui aveva preso gli stili cinematografici (pulp/black comedy/sci-fi) servendoli a tutto il pubblico. Diversamente da Sonnenfeld inoltre, il regista malese Wan ha preso tutto quello che ha reso famoso il genere horror/thriller negli novanta, ottanta e settanta riadattandolo in chiave moderna all’inizio del 2000 e aprendosi la strada a un roboante successo, certo un cinema commerciale (che soffre d’aspetti negativi/positivi a seconda anche del gusto personale e non solo oggettivo) ma che ha saputo vendere quello che il pubblico pagante (voleva), in pratica trattare la materia direttamente al gusto dei fruitori più accaniti, una regola che aprì il successo a un maestro come Hitchcock.



“Malignant” ha genesi nella scrittura del soggetto a sei mani, da parte di Wan stesso assieme alla moglie Ingrid Bisu (che si ritaglia un piccolo ruolo nel film) e Akela Cooper, quest’ultima elaborò poi la sceneggiatura vera e propria per il grande schermo. Con un budget di 40 milioni di dollari e l’uso della casa di produzione Atomic Monster (fondata da Wan nel 2014) avviò la produzione del film, annunciando che sarebbe stato, come genere cinematografico, un Giallo (all’italiana, da non confondere con quello di stampo Britannico) traendo ispirazione dai lavori di Dario Argento com: “Tenebre”, “Phenomena” e infine “Trauma”. La trama vien da sé: Gabriel, paziente di un ospedale psichiatrico, sembra dotato di poteri sovrannaturali dal momento che riesce a decimare il personale della struttura, al punto che la direttrice di quest'ultima decide di prendersi cura di lui come se stesse "rimuovendo un cancro". Molti anni dopo, Madison vive insieme al compagno violento di cui era rimasta incinta altre volte in passato, abortendo tuttavia in maniera naturale. Madison ha uno scontro fisico col suo compagno, durante il quale quest'ultimo le sbatte la testa contro il muro nonostante la donna sia nuovamente incinta. Quella notte, una figura estranea si introduce in casa, uccide il compagno di Madison e attacca anche quest'ultima, mandandola in ospedale. Qui la donna riceve la visita di sua sorella minore Sydney, che non vedeva da tempo per volere del suo compagno, e della polizia.


Secondo me, il risultato di questa pellicola è stato quello che io definisco una vera e propria summa artistica di quello che ha reso il regista Wan il colosso che è diventato ora, in questi vent’anni. Oltretutto è un affascinante modo di vedere un regista contemporaneo (cosa fatta anche recentemente da Edgar Wright) approcciarsi al tipico Giallo all'italiana (quindi il già citato Dario, ma anche Fulci e Bava), secondo ovviamente la stilistica di James Wan, ma (non solo) anche "La Metà Oscura" di Stephen King (di cui pure Romero ha fatto il film) in versione moderna e senza dubbio di un classico come “Basket Case” del 1982. Questo film è sicuramente un manifesto di tutto quello che funzionava alla grande (e che sicuramente anche non piaceva) nel genere horror a inizio anni 2000, quasi un epitaffio commemorativo fatto da colui che è stato artefice di tale fortuna, per certi versi mi verrebbe da compararlo con “Il Mistero della casa sulla collina” del 1999 con cui condivide la stessa essenza crepuscolare di un genere commerciale. Vi troviamo poi un po' tutto il cinema che ha reso famoso Wan, pieno delle trovate che lo hanno fatto stare sulla cresta dell'onda, che ne so per citarne un paio: la violenza dell’azione di “Death Sentence” qui è riproposta negli scontri del detective con la mefistofelica presenza di Gabriel, che è un deciso rimando alla figura diabolica di un personaggio come Jigsaw. Il tutto con un montaggio, ripresa e narrazione frenetica (tipica del thriller anni 90, ma raddoppiata), che non si risparmia in violenza e splatter quando deve (una in particolare richiama il massacro alla stazione di polizia del primo "Terminator" di Cameron e la scena del massacro in prigione è un netto richiamo a quella dei cani in "The Thing" di Carpenter), mischiando anche un po' di soprannaturale che non guasta mai (presa dal suo altro genere di successo) che viene ben implementato con la moderna CGI. Senza poi parlare del mio tema preferito cinematografico. Ovvero “io sono l’altro” che anche qui proposto in maniera più che degna anche se derivativa da altre pellicole. La colonna sonora regge l’evoluzione narrativa, anche se a fare da padrone è la cover di “Where is my mind” dei Pixie rifatta dai Safari Riot, che davvero segna un po’ tutto il film con il suo incedere, almeno, in tre o quattro scene importanti. Buono il cast, in cui ritrovo (non più bionda) Annabelle Willis in una prova più che concreta come protagonista, ma non male anche Maddie Henson nel ruolo della sorella e ciliegina sulla torta ho avuto modo di vedere una selvaggia Zoë Bell sullo sfondo che è sempre gradita.


Con tutto questo non voglio dire che “Malignant” sia una pellicola perfetta, anzi, non lo è affatto, perché la sua stessa natura di summa artistica del successo di James Wan non la rende tale. Pregi e difetti del regista malese sono sempre stati palesi e sempre rimarranno tale e sono un gigantesco elefante che non ho voglia d’indicare in questa stanza. Però il film, riesce in quello che per me è il suo traguardo più solido, ovvero essere completo nel suo rappresentare due decadi (particolarissime) del cinema horror nel ventunesimo secolo. Oltretutto il (mio) rimando a King non è solo nel soggetto trattato dal film, ma anche nella figura stessa di Wan, che si è fatto padrino assoluto (i successi parlano da soli) di una determinata fetta d’appassionati al cinema di genere (e casuali), come lo scrittore negli anni 80 con i suoi libri.


Commenti

  1. Citazioni in bella vita con omaggi a Bava, un finale matto matto matto che fa svoltare il film, questa volta Pupazzo UAN mi ha fatto uscire contento dalla sala ;-) Cheers

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    1. Si, mi ha lasciato spiazzato. Lo rivedrò di nuovo, ancora un giorno.

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  2. Non proprio venuto benissimo, ma è Wan in tutto e per tutto, forse troppo..

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    1. I difetti sono lampanti, oltretutto seguendo la filmografia di Wan si notano subito. Ma quel piglio, così di genere, che ha messo nel film è davvero audace.

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