Hell or High Water (2016) Il caro vecchio (nuovo) Western


Ne avevo sentito sempre parlare, ma alla sono riuscito nel vederlo finalmente. Sicuro tutto la fama che si è fatto non sono solo parole al vento o elogi superflui, questo lo si comprende sin da subito o per meglio dire nei suoi minuti iniziali che ne sono essenzialmente la quintessenza. Ma del resto un po' tutte le produzioni che vengono presentate nella sezione "Un Certain Regard" del festival di Cannes hanno sempre goduto della mia attenzione, sia per il fatto che hanno una vena prettamente personale del loro creatore che per il loro essere essenzialmente fatte per essere fuori da ogni contesto di tipica produzione fine a sé stessa.Non sfugge poi tra i nomi del cast creativo il regista David Mackenzie, modesto e pulito nell'esecuzione come cineasta, fondatore della Sigma Films che ha regalato tante perle alla cinematografia occidentale. In particolare il nome che più lampeggia nella mente di un visionatore è quello di Taylor Sheridan, uno sceneggiatore che al pari di colleghi come Guillermo Arriaga si fa sempre notare nei suoi soggetti elaborati per la settima arte, dove si può sentire il loro personale tocco di scrittura. Del resto già nel 2012 la sceneggiatura del film aveva fatto parlare di sé finendo nella Black List dei film non ancora prodotti sotto il titolo di Comancheria.




La trama vien da sé: nel Texas occidentale, il padre divorziato Toby Howard e suo fratello Tanner, un ex-detenuto, effettuano di prima mattina, quando le banche sono ancora vuote, rapine in due filiali della Texas Midlands Bank. Sebbene le rapine siano ben pianificate, la natura selvaggia di Tanner lo porta a correre rischi inutili, cosa che infastidisce molto Toby, il quale non vuole che nessuno si faccia male. Due Texas Rangers, Marcus Hamilton e Alberto Parker, si occupano del caso. Hamilton, prossimo alla pensione, capisce rapidamente i metodi e le personalità dei fratelli. Già da questo incipit si capisce la natura Western intrinseca del prodotto, di cui ne ha tutte le distintive peculiarità che lo hanno reso famoso nel mondo: i fratelli banditi in cerca di riscatto dopo una vita di stenti, il ranger carismatico dalla battuta facile, il nativo americano che riflette il passato dei suoi avi, le rapine, le sparatorie e tutto quanto il corollario che il genere si porta dietro. La cosa che stupisce però è come il contesto odierno venga assimilato nella sceneggiatura in un modo così naturale che fa capire quanto possa e può dire il Neo-Western nelle produzioni contemporanee. Un movimento cinematografico che ha preso piede a metà d'inizio 2000, con tanti bei esponenti da scoprire e molti ben noti senza che li scriva, che ha letteralmente tolto dalla mente l'epitaffio crepuscolare che Clint Eastwood fece con "Unforgiven". Taylor Sheridan è ormai il re della frontiera americana al cinema, almeno quanto McCarthy lo sarà sempre nella letteratura, anche perché entrambi hanno dato vita alla propria ideale trilogia sul concetto di frontiera (nell'ampio senso americano del termine). Sheridan racconta tutte le contraddizioni dell'America sudista e sudata, quella dimenticata dal resto del paese e svenata dai meccanismi sanguisuga delle banche. Quella dove la lotta per la sopravvivenza, anche con metodi violenti, sembra essere stata legalizzata e legittimata per necessitá, dalla malattia della povertá o dal tentativo di difendersi da quel morbo. Una nazione dove se un uomo con una pistola incontra un uomo col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto. Dove la giustizia cambia continuamente casa, o forse non ce l'ha proprio (mai avuta): perché alla fine non trionfa mai per tutti, ma solo per alcuni. Dove a pagarla sono sempre gli stessi: quelli che pagarono "centocinquanta anni fa". Dove "Comanche significa nemici per sempre". Forse non un capolavoro, ma un western moderno ben diretto, ben fotografato e soprattutto ben scritto, con ottimi risvolti di critica sociale sulla diversità culturale e l'integrazione.




Il caro vecchio (nuovo) Western non finirà mai di dover dimostrare quanto possa essere contemporaneo nella sua patria per antonomasia, ovvero gli States. Senza contare poi la triade d'attori micidiale: il calmo ma deciso Pine, il pazzo bandito d'altri tempi Ben Foster (attore perfetto per il genere) e il vecchio cowboy sul viale del tramonto Jeff Bridges. In tutto è per tutto un Neo-Western, figlio del "Non è un paese per vecchi" dei Coen e "The Proposition" di John Hillcoat, il quale riesce nel mettere una classica storia di frontiera di genere ma con una realtà attuale: il ruolo ricoperto dai nativi americani nella società,  le province americane distrutte dalla crisi, le banche come avvoltoi del tessuto sociale meno benestante e queste sono un paio introspezioni che si possono citare. Sheridan (alla sceneggiatura) mette come terzo atto della sua quadrilogia a tema un film dall'esecuzione tradizionale e dalla trama semplice ma forte, che lo fa ancora piùrisaltare senza il peso divistico che aveva Villeneuve alla regia di "Sicario". Nick Cave e Warren Ellis accompagnano nel migliore dei modi con la colonna sonora la solida regia di David Mackenzie.


P.S.

Il titolo del film è una bizzarra espressione americana che indica la determinazione a fare qualcosa, anche se si dovessero verificare difficoltà assurde (appunto come l' arrivo dell'inferno), e che corrisponde a "whatever it takes". La prima volta questa frase è comparsa solo come "hell and high water" in un giornale dell'Iowa nel 1882, nella forma: - The devil had broke loose in many parts of the country and keeping up with the old saying, we’ve had unrevised hell and high water-. L'articolo parlava di una grave situazione di tumulti, e probabilmete l'uso della figura del diavolo, dell'inferno, e dell'alta marea erano utilizzate per indicare difficoltà e incredibili sconvolgimenti.

Commenti

  1. Grande film, grande sfida di uomini. Storia triste che finirà male comunque vada. Potente la scena finale (spoiler! spoiler!) in cui i due superstiti della vicenda si giurano di saldare il conto l'uno all'altro.

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    1. Amato il richiamo alla vecchia guardia del genere. Scritto benissimo e recitato ancora meglio.

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  2. Della trilogia è forse quello meno considerato ed io lo ricordo in particolare per i dialoghi, secchi e diretti, dove Jeff Bridges, come al solito per me, rappresenta un valore aggiunto e come negli altri due, chi sopravvive, dovrà rinunciare ad una parte importante di se stesso/a. Del regista ricordo "Perfect Sense" e presto o tardi vedrò "Outlaw King". Buon anno.

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    1. Il regista debbo scoprirlo, per lo sceneggiatore non ho nulla da dire. Ma in questo, vista l'assenza di un cineasta "pesante" dietro alla mdp si può gustarsi tutto lo stile. Grazie per la visita!

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