IZO (2004) La follia anarchica (e nichilista) del cinema di Takashi Miike, il mondo non può essere cambiato.

 


«IZO nasce dall'idea di uno sceneggiatore costretto a scrivere per anni sceneggiature “tradizionali”, costruite su stereotipi tragici o comici. Quando questo sceneggiatore mi confessò di aver scritto una sceneggiatura “ribelle”, che sovvertiva tutte le regole del cinema, ho voluto leggerla. Ho pensato che il film si potesse fare, così ho cominciato a girare. Durante le riprese ho cambiato quello che volevo, aggiungendo anarchia ad anarchia, arrivando ad avere un prodotto del tutto inclassificabile. Personalmente amo molto IZO, perché ha rappresentato una grande valvola di sfogo. Per qualche anno farò film “normali”, poi, forse, ci sarà un altro IZO.»

Basterebbe questo incipit, tratto da un'intervista, a giustificare la follia anarchica (e nichilista) del cinema di Takashi Miike, qui nella sua pura essenza, quindi prendere o lasciare. Difficile da spiegare quello che è nella sua consistenza il significato del film, se di base i punti solidi di partenza sono che è ispirato alla storia di Izō Okada (samurai realmente esistito e morto crocifisso) e che narrativamente parlando si assiste a una sequela di scontri sarebbe come minimizzare l'anticonvenzionalità del cinema di Miike. Alla sua uscita, IZO divise nettamente in due la critica cinematografica (per quello che vale): alcuni lo definirono infatti uno dei migliori film di Takashi Miike, altri lo definirono incomprensibile e confusionario.



La vendetta di un'anima persa (senza fine) che diventa un demonio è lampante, anche nella trasformazione del protagonista, che arriva all'epilogo dilaniato e indiavolato per poi rinascere (il simbolo dell'infinito che viene tagliato è un altro significato importante, Il nastro di Möbius. Compare nel film come simbolo del tempo, dell'infinito e della ciclicità). Ma nella ripetizione di scontri e violenza, si aprono intermezzi in cui i tre tempi di fare cinema di Miike prendono possesso del contesto narrativo: la parte infantile, quella romantica e infine quella horror si alternano continuamente. Un horror filosofico, potrebbe essere giusta come spiegazione del genere, del resto soprannaturale e gore si manifestano continuamente, ma è un'anima alla quale si collega un'introspezione nell'esitenzialismo umano. Un film anti-guerra, anti-religione e in particolar modo anti-umano, quasi come fosse un processo filosofico nichilista in cui si trovano snocciolamenti lampanti della dualità umana in ogni suo singolo aspetto partendo dall'amore fino ad arrivare all'istruzione. Senza contare il tratto documentaristico che piazza filmati e d'archivio storici ma anche sequenze come il processo di nascita del liquido seminale maschile.



Una violenza indiscriminata (donne, vecchi e bambini) cadono tutti sotto al spada del protagonista, ma anche yakuza, vampiri, spettri, burocrati, soldati, generali, divinità, monaci, bonzi, shogun, falsi profeti, Takeshi Kitano (con il suo solito ghigno) e chi ne ha più ne metta. Senza contare la molteplicità degli scenari (un prato fiorito di piante parlanti parlanti), delle tecniche di ripresa (quella invertita è un fulmine a ciel sereno), Miike per sua stessa ammissione genera un film fuori di testa che, per i suoi stessi canoni di cinema, va oltre e non può essere catalogato con le solite limitazioni convenzionali, - dopo il cinema c'è Izo - scrive Enrico Ghezzi. Da scoprire in tutta la sua follia per chi riesce nel stargli dietro, perché di sicuro alla fine della visione si troverà con molto di più di quanto si sarebbe mai aspettato, del resto alla prima proiezione pubblica, avvenuta al Festival di Venezia, il pubblico lasciò la sala perplesso e in silenzio (e sono passati ormai vent'anni). Solo Quentin Tarantino si alzò in piedi e applaudì calorosamente (perché conscio del fatto che a Miike non si comanda).




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