Romeo Is Bleeding (1993) Hard boiled fino al midollo pt.2, il detective corrotto che voleva troppo
Questo è uno di quei film in cui sono incappato per vie traverse, ossia tramite la citazione di Quentin Tarantino fatta durante un'intervista per Joe Rogan, in questa conversazione il buon Quentin affermava di aver aperto le porte ad un certo di cinema pazzo (per tutta la decade) privo del politicamente corretto attraverso il suo cinema e altre pellicole uscite contemporaneamente ad inizio 90. Tra tutte le menzioni mi hanno interessato "C'est arrivé près de chez vous" del 1992 e questo "Romeo is bleeding" del 1993 diretto da Peter Medak e scritto da Hilary Henkin (colei che partorì la storia di "Road House").
Quello che mi sono trovato davanti è senza dubbio un prodotto imperfetto, ma anche pregno di peculiarità che lo rendono molto accattivante. Essenzialmente un connubio tra il neo-noir e il crime movie tipico degli anni 90, ma in questo si possono riscontrare delle tematiche noir classico (in particolare nella colonna sonora ispirata di Mark Isham) come del tipico cinema pulp/hard-boiled. Medak, insieme al direttore della fotografia Dariusz Wolski, offre una composizione artistica dopo l'altra, eppure ogni fotogramma sembra gocciolare sporcizia, sudore, sperma e sangue. Il titolo, tratto da una canzone di Tom Waits, diventa sempre più letterale man mano che il nostro antieroe (uno sbirro corrotto) subisce sempre più danni fisici nel corso della storia, tanto che nell'ultimo atto sembra una versione horror di uno sfortunato personaggio dei Looney Tunes.
Ciò che distingue davvero Romeo is Bleeding, al di là della carneficina slapstick, è il senso onirico di minaccia che lo pervade. In questo senso, sembra in linea con lo stile di David Lynch (la colonna sonora jazz di Mark Isham, a tratti selvaggiamente rococò e inquietantemente soul, spesso ricorda l'opera di Angelo Badalamanti), anche se, come Tarantino, sarebbe sbagliato suggerire un'influenza palese. Man forte nel risultato finale è anche da ricercare nel cast: Gary Oldman in rampa di lancio per tutta la decade (qui arrivava da una pellicola più riuscita sempre nel genere ovvero "State of Grace", una diabolicamente macchiavellica (quanto gnocca e fatale stile Sharon Stone in "Basic Instint") Lena Olin, Annabella Sciorra che si aggiudica il miglior monologo e infine altri ruoli di supporto che riportano i nomi di Juliette Lewis, Roy Scheider, Dennis Farina, Ron Perlman e Michael Wincott. In fin dei conti il titolo rappresenta l'essenza del film e l'amaro finale è a sua volta specchio di tutta la natura che permea la sceneggiatura, anche se la violenza quando esplode (la scena dell'incidente in auto su tutte, fatta senza stunt dalla stessa Lena Olin) non lascia sopravvissuti.
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