Mishima: A Life in Four Chapters (1985) Mishima: Una vita in quattro capitoli, l'ultimo samurai di Paul Schrader
Magistrale lavoro di Schrader (da lui stesso ritenuto il suo film migliore), un gioiellino per il cinema e per il genere biopic in sé. Tre tempi narrativi, di cui uno a livello concettuale perfetto. Messa in scena che sfiora più volte l'originalità di ricostruzione diegetica teatrale. Gran contributo di artisti come Eiko Ishioka (production design da far venire i brividi) e Philiph Glass (colonna sonora che già parla da sola. Da vedere, almeno una volta nella vita. In sintesi è questo che sfiora la mente dopo aver visto questo film, difficile trovare altre prove dannatamente riuscite nel rappresentare la vita di un singolo (e con questo parlo anche della filmografia di Forman).
Diretto da Paul Schrader, trasposto da una sceneggiatura che ha scritto insieme al fratello Leonard e alla moglie di Leonard, Chieko Schrader. Il film è basato sulla vita e opere (come ben capirete una vita fatta in opera) dello scrittore giapponese Yukio Mishima (interpretato immensamente da Ken Ogata), intrecciando episodi della sua vita con drammatizzazioni di segmenti dei suoi libri: Il tempio del padiglione d'oro, La casa di Kyoko e Cavalli in fuga. Da non sottovalutare poi la presenza di Francis Ford Coppola e George Lucas tra i produttori esecutivi del film.
Mishima (il film) espone tre dei romanzi dello scrittore e usa anche segmenti dal suo romanzo autobiografico "Confessioni di una maschera". Almeno due scene, una che mostra il giovane Mishima eccitato da un dipinto di San Sebastiano e un'altra in cui esagera la sua malattia durante una visita medica militare sono autobiografiche. L'uso di un altro romanzo di Mishima, "Colori proibiti", che descrive il matrimonio di un uomo omosessuale con una donna, è stato negato dalla vedova di Mishima. Poiché Schrader voleva visualizzare un libro che illustrasse il narcisismo e l'ambiguità sessuale di Mishima, scelse invece il romanzo "La casa di Kyoko" (che aveva tradotto esclusivamente per lui) e che contiene quattro linee narrative che seguono diversi protagonisti, ma Schrader scelse solo quella che considerava più rilevante. La pellicola adopera diverse tavolozze di colori (merito anche della fotografia di John Bailey) per differenziare la trama, i flashback e le scene tratte dai romanzi di Mishima: le scene ambientate nel 1970 sono state girate con colori naturalistici, i flashback in bianco e nero, l'episodio del Tempio del Padiglione d'Oro è dominato dal dorato e dal verde, La casa di Kyoko dal rosa e dal grigio e Cavalli in fuga dall'arancione e dal nero.
I livelli di comprensione del film sono particolarissimi, la già citata alternanza tra fatti reali, episodi tratti dai romanzi e nello specifico contesti alterati per diverse motivazioni offre quella che si può definire una delle migliori (quanto effettive) autobiografie realizzate su pellicola. Parlare di Mishima sarebbe come parlare dell'effettivo ultimo Samurai giapponese per antonomasia, in relazione alla cultura italiana probabilmente l'unico che si avvicina in tutto e per tutto resta nella sua figura particolare il ben noto Grabiele D'Annunzio. Intenti nazionalisti di rivalsa nel dopoguerra, bisessualità e complesso narcisista riflettono la mentalità di un autore molto più unico che raro nella storia nipponica. L'omissione della sua tragica morte, dopo un tentato colpo di stato, nel quale perse la vita dopo un fallimentare suicidio onorevole (seppuku) a colpa di uno dei suoi seguaci, rende giustizia e non averlo riportato pedissequamente è una chiave di lettura accettabile anche per quanto mostrato nel film.
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