Drag Me To Hell (2009) Portami all'inferno, Sam Raimi


Non potevo chiudere l'anno senza parlare di un regista che sono andato a vedere al cinema (nel 2021), nella sua ovvietà cronologica non è questo il film però vista la mancanza della sua filmografia diretta qua su Once, bisogna pur sempre iniziare da qualche parte. Il nome è Sam Raimi, un cineasta che nella sua carriera ha più di un punto in comune con i fratelli Coen, ma anche molto differente da quel drago a due teste senza comunque perderne la sua assoluta originalità nella settima arte. La storia originale di Drag Me to Hell è stata scritta dieci anni prima che il film entrasse in produzione, elaborata da Sam Raimi e suo fratello Ivan Raimi. Il film entrò in produzione con il nome di The Curse, la storia era stata strutturata come un racconto morale, desiderando scrivere su un personaggio che vuole essere una brava persona, ma fa una scelta peccaminosa per avidità e per il proprio miglioramento personale e ne paga il prezzo.Elementi della storia sono tratti dal film horror britannico Night of the Demon (a sua volta un adattamento del racconto di MR James "Casting the Runes") come i demoni di forma simile e il tema della maledizione di tre giorni. Il parallelo più significativo è che entrambe le storie implicano il passaggio di un oggetto maledetto, che deve essere passato a qualcun altro, altrimenti il suo possessore sarà divorato da uno o più demoni. A differenza dei suoi film horror passati, Raimi voleva che il film fosse classificato come PG-13 e non strettamente guidato dal sangue, affermando: < Non volevo fare esattamente la stessa cosa che avevo fatto prima >. Dopo aver terminato la sceneggiatura, Raimi desiderava realizzare il film ma altri progetti come la trilogia di Spider-Man sono diventati uno sforzo quasi decennale, spingendo le opportunità per continuare a lavorare su Drag Me to Hell. alla fine del 2007. Raimi offrì al regista Edgar Wright di dirigere Drag Me to Hell, cosa che Wright rifiutò mentre stava girando Hot Fuzz , sentendo che "Se lo facessi, sembrerebbe solo un karaoke". Raimi tornò alla sceneggiatura di Drag Me to Hell, volendo realizzare un film più semplice e con un budget inferiore. Nel 2007, l'amico e produttore di Sam Raimi, Robert Tapert della Ghost House Pictures, chiese alla compagnia di finanziare il film. Gli Universal Studios accettarono di distribuire a livello nazionale. Il film fu un successo, incassò ben quasi 100 milioni di fronte ad un budget di soli 30, il talento paga sempre alla fin fine.
La trama vien da sé: Shaun San Dena, una medium ispanica, riceve un bambino colpito da una maledizione in seguito al furto di una collana ad un gruppo di zingari. Il bambino sente da tre giorni delle voci, che stanno diventando sempre più forti. La donna comprende di essere di fronte all'ultimo stadio di questa maledizione e tenta invano di salvare con una seduta spiritica il ragazzino, il quale infine precipita da una balaustra e viene trascinato nell'inferno da una forza malefica. Shaun, devastata, promette al demone che si rivedranno per un'altra battaglia. Anni dopo, Christine lavora come impiegata all'ufficio prestiti di un grande istituto di credito. Per ottenere una promozione a scapito di un collega, vuole mostrare al suo capo quanto "dura" e inflessibile possa essere; pertanto nega una terza proroga di rimborso prestito richiesta dalla signora Ganush, un'anziana zingara. Quest'ultima, per vendicarsi dell'umiliazione subita, le sottrae un bottone dal cappotto e poi glielo restituisce dopo averci invocato sopra una tremenda maledizione. Da quel giorno, la ragazza inizia ad avere delle orrende visioni e ad essere perseguitata dalla Lamia, un terribile demone che cerca in ogni modo di terrorizzarla.
Senza volerla fare troppo lunga: è un film di genere molto semplice, addirittura semplificato: trascinato da un ritmo forsennato (il montaggio di Bob Murawski ben si sposa con la frenesia di Sam Raimi), dalle continue gag in salsa slapstick tipiche del cineasta, dalla profusione di fluido, da momenti deliranti come quello della seduta spiritica e da una colonna sonora di Christopher Young che è una fanfara al demonio. Tutto questo riguarda l'estetica virtuosa del film, che si può ammirare tranquillamente come l’ennesima follia (riuscitissima) di quel pazzo di Raimi, eppure questa malsana e grottesca ironia contrasta con l'anima della storia, che è nerissima, nella sua severità morale e draconiana nella punizione. Perché la protagonista interpretata dalla bravissima Alison Lohman (che ha sostituito nel casting Elliot Page), è infatti una bravissima persona, che per ottenere una promozione si abbassa ai compromessi del potere, la "decisione difficile", forse unica brutta azione nella sua vita, macchia la sua anima inesorabilmente. Oltretutto vi è una un'esclusione sociale che lei stessa avverte, sia dalle sue umili origini della fattoria, passando per il confronto con i genitori elitari del suo fidanzato e infine con l'agonismo lavorativo in banca. In pratica una persona in cui tutti noi ci possiamo immedesimare, vedendone al suo interno una bontà spontanea nel vivere. Con questa premessa affettiva per lo spettatore ed etica per la storia in sé, si giunge ad un epilogo: punitivo, inflessibile e dannatamente spietato nella sua casualità. Se fosse capitato agli altri personaggi del film avremmo tutti accusato meno il colpo di quel finale che chiude (o apre) il cerchio (dell'inferno) e ci mostra la vittoria della Lamia. Tuttavia, accade a una persona dolce e simpatica, una come tante o tanti in questo bieco mondo, e questo risultato fa sorgere nel nostro subconscio quante volte abbiamo smesso di essere giusti, anche solo una dannata volta, quanto ogni volta questa scelta sia stata irreversibile e irreparabile.


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