The Trial of the Chicago 7 (2020) Il processo farsa di Aaron Sorkin


Aaron Sorkin è senza dubbio uno dei migliori sceneggiatori presenti ad Hollywood in questi ultimi anni, i titoli adattati per il grande schermo con una certa qualità ormai sono di fatto vere e proprie opere che hanno un senso e si rivedono con molto gusto. Qui alla sua seconda regia dimostra una volta per tutte di essere un autore oggettivamente universale per i soggetti scelti, che predilige sì un certo tipo di scrittura, ma al tempo stesso è in grado di mettersi al servizio della storia, sia narrata che reale, realizzando un'opera che possa essere pop, comprensibile, a volte perfino divertente, ma comunque densa di significato esattamente come quelle, ben più elitarie e snob, che l'hanno reso celebre e amatissimo dalla critica.



Per molti versi questo è il suo "JFK" in senso di coralità dei personaggi che si muovono all'interno della trama, ma il genere ricade sul suo primo cavallo di battaglia (il più che noto "A Few Good Men") ovvero il courtroom drama a tutto tondo, che non perde neanche l'occasione di ricreare fatti storici. I Chicago Seven sono stati un gruppo di attivisti (Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davis, John Froines e Lee Weiner) accusati dal governo federale degli Stati Uniti di associazione a delinquere, istigazione alla sommossa e altri reati relativi agli scontri tra manifestanti e polizia avvenuti a Chicago durante la Convention del Partito Democratico del 1968. Il gruppo è anche noto come Chicago Eight, visto che per un breve periodo un ottavo uomo, il leader dell'organizzazione rivoluzionaria nota con il nome delle Pantere Nere Bobby Seale, fu accusato e mandato a processo insieme agli altri.


Nonostante Soorkin non sia un regista virtuoso, quanto può esserlo Fincher per esempio, offre lo stesso un ottimo intrattenimento visivo che non risulta statico ma funzionale alla sua sceneggiatura, che senza nessun guizzo eclatanre riesce nel trasporre visivamente i fatti narrati. In particolare il folto cast nelle quali spiccano sicuramente le prove di Sacha Baron Coen, Mark Rylance e il grande Frank Langella offre il miglior veicolo per rappresentare le situazioni politico/sociali del tempo, senza scordarsi della comparsata di Keaton che timbra il suo biglietto interpretativo con la solita eleganza. La pellicola funziona molto bene perché il processo si presta a tale artificio narrativo: quando il governo accusò un eclettico miscuglio di ribelli e manifestanti non violenti, la farsa che ne risultò sconfinava nella performance artistica già di per sé.

Commenti

  1. Sempre la storia che riesce ad interessare.

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  2. Sì, Aaron Sorkin è davvero il miglior sceneggiatore vivente. E anche come regista se la cava, ovviamente puntando tutto sullo script. Peccato che questo film sia uscito nell'anno del covid, in pieno lockdown, direttamente in piattaforma e quasi ignorato... avrebbe meritato accoglienza migliore.

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