The Fall of the Roman Empire (1964) L'ultimo grande peplum della vecchia Hollywood



Continuando secondo la programmazione delle visioni, riesco finalmente nel proporvi questo film sempre inerente al genere peplum. Quando lo guarderete non stupitevi della somiglianza con The Gladiator di Ridley Scott di cui questo film ne è parzialmente ispiratore. Intendo parzialmente perchè nonostante la chiave romanzata abbia diversi punti in comune ne prende le distanze a livello creativo (altri tempi quelli della Cinecittà caput cinema). 

L'idea per il film nacque in Anthony Mann (chissà perchè chi porta questo cognome è sempre un asceta del perfezionismo visivo), che aveva appena finito di dirigere El Cid (1961). A Londra, mentre aspettava un taxi, vide un'edizione della serie di sei volumi del libro di Edward Gibbon (Ascesa e caduta dell'Impero Romano) vicino alla vetrina della libreria Hatchards. Mann prese da subito in considerazione un adattamento cinematografico del libro come il suo prossimo progetto dopo aver letto il libro durante un viaggio in aereo a Madrid, in cui in seguito ha presentato l'idea a Samuel Bronston a cui il produttore acconsentì. Nel luglio 1961, Bronston disse al New York Times che The Fall of the Roman Empire sarebbe stato il suo prossimo progetto, ma aveva anche escluso le riprese in esterni a Roma affermando che "dopo aver verificato ho scoperto che la Città Eterna non era la 'città' del tempo della caduta dell'impero, quindi costruiremo la nostra 'Roma' a Madrid." Inoltre, Philip Yordan fu incaricato di scrivere la sceneggiatura.


Nell'aprile del 1963, Mann spiegò che il film non era un adattamento diretto della serie di volumi di Gibbon, l'attenzione era su un periodo di quindici anni dal regno di Marco Aurelio alla morte di Commodo, sostenuta dagli storici come "il punto di svolta nella storia dell'impero e concentrando la nostra storia su di essa possiamo mantenere lo stesso gruppo di personaggi nell'ambito del nostro dramma." Dopo aver scelto il punto focale per il film, lo sceneggiatore Basilio Franchina fu assunto per la sua vasta conoscenza del periodo romano mentre Ben Barzman si sarebbe occupato della scrittura vera e propria della sceneggiatura. Insieme, hanno successivamente scritto un adattamento cinematografico di 350 pagine. Successivamente, Mann consultò gli sceneggiatori per sviluppare ulteriormente i personaggi, di cui scrissero sei bozze in totale. La sesta bozza sarebbe stata sviluppata durante le riprese del film. Mann in seguito spiegò: "La scrittura ha richiesto più di un anno. Non avevamo in mente attori quando scrivevamo, ma volevamo personaggi con scene memorabili per attirare artisti del calibro di Guinness a volerli interpretare". 


Dovete capire che il grande divario dei peplum degli anni Sessanta e Cinquanta e gli odierni kolossal è che nel cinema storico (del tempo) si coglie il respiro di un confronto fra civiltà. La pellicola è veramente enorme: la civiltà romana nel suo insieme, insidiata da quella germanica e dai suoi immani problemi interni. Scene trionfali, degne di Ben Hur e Cleopatra, fanno di questo film maestoso un raro esempio di epica filmica del cinema che fu. La sceneggiatura (a livello storico) non è molto plausibile, ma l'amore tra Livio, un ottimo Stephen Boyd che tutti ricorderete per il ruolo di Messala in Ben Hur, e Lucilla, una gradevole Sophia Loren, è solo un elemento narrativo (talvolta mellifluo) fra i tanti in una pellicola che parla di popoli e secoli. La figura di Marco Aurelio, qui retto dal grande peso divistico di Alec Guinness che ironicamente prese il ruolo a Richard Jenkins, è tratteggiata benissimo, e così quella di Commodo, un superbo Christopher Plummer che da le piste a Phoenix nel Gladiatore di Scott. Immensi interpreti, grandissimi e da godere: alla maestosità dell'architettura (le scenografie elaborate da Venerio Colasanti sono titaniche) corrisponde, nel film, la bravura mai forzata dei grandi volti dei protagonisti. 
Credo che la pellicola sia da annoverare (nonostante il flop ai botteghini) tra tre o quattro dei migliori super-drammi del genere storico. Il film di Mann (nonostante sia ancora ingolfato nelle problematiche di produzione, cosa analoga che lo eliminò da Spartacus) è, grazie alla sua regia ispirata (senza contare l'aiuto da parte di Yakima Canutt nelle scene d'azione), si lascia godere in tutte e tre le ore di minutaggio. L'autore descrive un poema sulla imminente caduta di una civiltà, riuscendovi con tocchi visuali grandissimi: la cupa foresta del nord all'inizio, la Roma invasata dei trionfi a metà e nel finale (quando Commodo esce dall'enorme mano aperta di un idolo), le cupe meditazioni di Marco Aurelio, le battaglie (in particolare il duello sulle bighe nella foresta) e il magnifico duello finale fra Livio e Commodo. Completa il tutto la sontuosa fotografia di Krasker su una pellicola Panavision da 70mm.



Ma non è tutto ora quello che luccica: la pellicola risulta però austera, di tanto in tanto troppo teatrale nella recitazione e talvolta poco accattivante tanto che a livello storico a causa del suo flop è da considerasi come "La caduta del cinema Peplum". La bellissima prima parte (memorabile il funerale di Marco Aurelio) cede il posto a una seconda parte piuttosto confusa. Il punto debole del film, comunque, è la mancanza di un protagonista dai tratti eroici: nonostante la presenza più che apprezzabile di Stephen Boyd che ben si adatta e all'isterico follemente sopra le righe di Christopher Plummer. Da menzionare assolutamente: la prova di Alec Guinnes e, come già detto, le magnifiche scene di massa. Riuscitissima ma storicamente discutibile,è la figura di Timonide ( un grandissimo James Mason), impegnato nella creazione di un "melting pot " di stampo più americano che romano. Da menzionare come ultima postilla la colonna sonora che stranamente fu l'unica ad avere una nomination agli Oscar, cosa ironica visto che un altro ammazza generi come Pirati di Harlin ebbe la stessa accoglienza anni più avanti.







Commenti

  1. Decisamente diversi da quelli moderni, facevano un lavoro incredibilmente immenso, che tempi!

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    1. Nonostante un paio di difetti dovuti alal teatralità è veramente una pellicola evocativa.

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