Замок (1994) Il castello di Kafka secondo Aleksei Balabanov


- Il meccanismo fa parte della Macchina in quanto pezzo meccanico, ma anche quando smette di esserlo -


Gilles Deleuze

Nonostante il film fosse due incognite in una sola: primo il regista Aleksei Balabanov e secondo il racconto di Kafka (mi manca, assieme al Processo), non posso comunque affermare che non sapessi cosa andavo incontro. La versione di Balabanov fa del surrealismo e dell'umorismo nero il meglio di sé. La sequenza ricorrente del sogno evidenzia la lontananza, l'uccello in una di esse mostra quanto sia intrappolato, Sergei Kuryokhin offre una colonna sonora che rende a questo film tutti i suoi favori.



Prima tra tutte le cose è la regia, davvero tipica dell'immaginario cinematografico (ma anche stilistico) russo, che si concede inoltre un'interpretazione visiva tramite la lente estetica (scenografia/costumi) dei quadri del famoso Pieter "Il Vecchio" Bruegel, ma al di fuori del mero quadro estetico l'impostazione teatrale è talmente forte che se non fosse per le tecniche della settima arte potrebbe tranquillamente essere una piece teatrale vista la natura della sceneggiatura. Secondo non serve un genio per capire la natura di un testo kafkiano, che qui procede passo dopo alla sua catarsi tipica in cui alla fine l'individuo si ritrova sopraffatto nonostante i suoi sforzi d'uscita fuori dalle regole di una società (qui rappresentata dalla burocrazia del fantomatico Castello).



Opera fantastica, vicinissima alle rappresentazioni scenografiche del Terry Gilliam d'annata, in cui l'atmosfera è come un secondo personaggio pieno di vita. Ottimo cast, sia nei grandi che nei piccoli ruoli senza mettere da parte la bellezza congenita delle interpreti russe. Il suo adattamento dell'opera di Kafka contiene tutto il surrealismo che ci si aspetterebbe da un autore simile, a cui si aggiunge la natura claustrofobica del cinema.

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