Cross of Iron (1977) Das Eiserne Kreuz, la guerra di Sam Peckinpah


- Non gioire della sua sconfitta, voi uomini per il mondo vi siete alzati e avete fermato il Grande Bastardo, Ma la cagna che lo portava in grembo è di nuovo incinta -

Bertolt Brecht


Nell’inverno del 1975 Peckinpah incontrò due dei produttori indipen denti più di successo di Hollywood, Dino De Laurentiis e Ilya Salkind. De Laurentiis gli chiese di dirigere il suo rifacimento a budget stellare di "King Kong"; la Salkind invece gli offrì "Superman". Alla fine rifiutò entrambe le offerte. Aveva bisogno di un progetto in cui affondare i denti, una storia, dei personaggi, un dilemma umano che lo colpisse nel profondo. Wolf Hartwig, un produttore tedesco di film erotici, desiderava sfondare nella cinematografia. Mandò a Peckinpah una copia di un romanzo su un plotone di soldati tedeschi durante la Battaglia di Krymskaya nel 1943, mentre il fronte russo di Hitler, e il suo Reich millenario, vacillavano sull’orlo della disfatta totale. Peckinpah aveva esplorato il panorama psicologico del professionista della guerra. Ora per la prima volta aveva l’opportunità di trattare l’argomento nel contesto di una guerra moderna e della Germania nazista, dove la maschia follia del nazionalismo aveva portato la specie umana a un passo dall’autoannientamento. Quando il film uscì in tutta Europa nella primavera del 1977, ricevette recensioni entusiastiche. Divenne la pellicola con i maggiori incassi in Germania e Austria dai tempi di "Tutti insieme appassionatamente" e vinse un Bambi, uno dei premi per le arti performative più prestigiosi della Germania. L’accoglienza in America fu l’esatto opposto. Il pubblico non era interessato a un film sulla Seconda guerra mondiale che presentava i tedeschi sotto una luce positiva e finiva con una nota così cupa e nichilista, e la maggior parte dei critici aveva ormai etichettato Peckinpah come uno scribacchino con un debole per le sequenze d’azione. La maggior parte delle recensioni furono sdegnose o ostili. Ma ci fu almeno un americano a cui Cross of Iron piacque. Qualche tempo dopo la sua uscita, Orson Welles inviò a Peckinpah un telegramma lodandolo come il miglior film antibellico che avesse mai visto.

"La Croce di Ferro" di Sam Peckinpah, già solo nominarlo viena la pelle d'oca agli appassionati. Un lavoro di Bloody Sam che lascia lo spettatore a bocca aperta, con l'amaro ghigno nell'anima, di conseguenza anche un figlio fatto su pellicola da un grande regista, che dice la sua (in modo originale) pure nel cinema bellico. Gli attori presenti nel cast non sono tutti famosi a livello mondiale, ovviamente tranne: James Coburn, Maximilian Schell e James Mason, ma si possono trovare anche David Warner e la bellissima Senta Berger. Al di fuori della classica politica dei grandi nomi di matrice Hollywoodiana: James Coburn regala un'ottima performance, intensa e sentita nelle vesti del ribelle caporale Rolf Steiner, un soldato tedesco, ribelle, stanco e disilluso, che non crede più in niente e che non ha altro scopo che concludere la sua carriera sotto le armi. Poi abbiamo Maximilian Schell, nelle vesti di un nobile prussiano d'alto rango dell'esercito, il capitano Stransky, viscido e presuntuoso ma a suo modo divergente dal Nazismo quanto Steiner. Infine urge citare James Mason, evanescente e rassegnato, dannatamente convincente, nel ruolo del colonnello Brandt, comandante di un reggimento. In queste tre anime, la sceneggiatura (scritta a 8 mani, Peckinpah compreso) basata sul libro "Das geduldige Fleisch" (del 1956) di Willi Heinrich, fonda la rappresentazione del dramma che è stata la campagna di Russia (Operazione Barbarossa) nella Seconda Guerra Mondiale. Tre anime che rappresentano anche le tre peculiari visioni della Wehrmacht, differenti per gradi, nobiltà e ideali ma che tutte sono d'accordo sul fallimento della guerra e sulla stupidità del partito Nazista. Un punto forte che rende la pellicola piene di sfumature e dialoghi brillanti in cui l'azione non manca mai.


Peckinpah nonostante le problematiche di produzione e mancanza di budget promesso da il meglio di sé, in una vera e propria guerra di lavoro tra i fiumi dell'alcol e l'utilizzo di cocaina. Stupisce oltre la visione bellica dell'azione e dell'uso del rallentatore il montaggio, così come aveva fatto nel '68, in quel suo capolavoro western di tombale rassegnazione. Peckinpah pone anche qui la morte del mito nazionalista d'inizio 900, quello dell'onore sul campo di battaglia con conseguente morte, dell'obbedienza cieca alle ideologie della propria patria, del rispetto incondizionato per le linee gerarchiche militari, della strenua fierezza per le decorazioni guadagnate a caro prezzo. Privo di retorica retroattiva, imparzialmente contro la Guerra, la messa alla berlina dei sacri ideali per cui ogni nazione combatteva, del resto Orson Welles non poteva trovare migliori parole per descrivere questo film (miglior film antibellico di sempre). Degne di nota le sequenze surreali di costante delirio che si distinguono nel periodo di convalescenza e il primo assalto russo all'avamposto tedesco.



Si possono anche trovare momenti un po' stanchi nella seconda parte, ma comunque privi di falsa retorica a buon mercato di alcuni dialoghi, si percepisce la tipica "americanità" dei caratteri illustrati quando talvolta si esprimono, ma sono dettagli superficiali. In particolare, il personaggio di Steiner è quasi surreale, mantiene le caratteristiche di un eroe da cinema western, in cui prende anima e corpo la sfida tra due uomini in duello. Con l'epilogo finale Stransky che finirà per accettare il duello forse neanche contro Steiner ma contro la stessa morte, il quale finirà per essere la più auspicabile fine. Il crollo definitivo di ogni criterio di ogni certezza, ormai i sovietici avanzano inesorabilmente, e a quel punto non c'è più spazio per nulla. Se non l'ultima risata di Steiner, quasi a sottolineare con cinico sarcasmo che l'ultima cosa che rimane è solo un eco di una risata. In fin dei conti morire per un conflitto del genere finisce per essere una barzelletta. E sono solo le risate a riecheggiare nel silenzio.

Commenti

  1. Grandissimo film bellico con alcune sequenze di combattimento memorabili. Forse il meglio di Peckinpah (almeno per quello che ho visto io). Ho anche letto il libro, ma sebbene ci siano molti aspetti simili, non c'è l'atmosfera del film. Ti faccio una sola nota: il colonnello Brandt è comandante di un reggimento, non di un plotone.

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    1. Grazie! Dopo aggiusto, i gradi militari e relativa gerarchia sono sempre caustici da ricordare, in particolare quelli della Wehrmacht.

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