Leaving Las Vegas (1995) Ebbrezza e masochismo a Las Vegas, Nicolas Cage ed Elizabeth Shue in stato di grazia per Mike Figgis

Avevo già trovato il tempo per parlare dell'immenso talento di caratteristi della settima arte come Nicolas Cage ed Elizabeth Shue, però già che ci sono (e continuo sempre per la via dei favolosi anni 90) non vedo perchè non parlare di una pellicola che, forse, rappresenta più di tutte le loro interpretazioni sommate assieme un immenso stato di grazia, e alchimia, sullo schermo contemporaneamente. Oltretutto come sapete, attraverso tante visioni, quello che succede a Las Vegas ha sempre un che di catartico e leggendario nelle produzioni americane.

Mike Figgis prese come soggetto del film un romanzo autobiografico del 1990 di John O'Brien, morto suicida nell'aprile 1994, poco dopo aver scoperto che il suo romanzo sarebbe diventato un film. Il regista incoraggiò gli attori principali a vivere in prima personai demoni dei loro personaggi, attraverso ricerche approfondite. Cage fece delle ricerche sul binge drinking a Dublino incontrando anche  alcolisti in ospedale (ma la sua più grande ispirazione venne da un suo amico di famiglia), la Shue trascorse invece la sua preparazione intervistando diverse prostitute di Las Vegas. La trama è molto semplice, una parabola di autodistruzione a opera di uno scrittore fallito, licenziato per problemi di alcolismo, che viene accompagnato sino alla morte da una prostituta di lusso (escort) stanca delle ingiustizie presenti nella sua vita. E' una una narrazione intrisa di disperazione: non concede la benchè minima speranza di redenzione, la più piccola via di fuga, una storia bruciante, fascinosa e malata allo stesso tempo.

Non ci sarebbe stata nessuna metropoli più adatta di Las Vegas, città del vizio, della perdizione e dei piaceri effimeri e fasulli come il sesso e il denaro, per mettere in scena la cupiditas dissolvi (Freud insegna) del personaggio di Nicholas Cage, deciso più che mai a suicidarsi lentamente a furia di bere. Mike Figgis se ne serve in maniera eccellente creando un'atmosfera davvero unica al servizio della storia. Interessante, nel dettaglio, il rapporto che si crea fra (i personaggi di) Cage ed Elizabeth Shue, una specie di surrogato d'amore che non consiste nell'aiutarsi (o nel salvarsi) a vicenda, ma nel condividere l'esperienza di auto-annullamento, vivere insieme ogni istante come fosse l'ultimo. C'è da dire che in questo suo personaggio tutto eccessi Cage (ai suoi massimi storici senza dubbio) riesce a risultare pienamente convincente in uno stato di grazia portentoso, mentre la Shue nel classico ruolo già più che canonizzato della "whore with a heart of gold" avrebbe meritato più attenzione invece di essere stata relegata (per anni) all'etichetta (stretta) da nicchia rispetto alle dive hollywoodiane.

Tirando le somme; Figgis riproduce alla perfezione un mondo effimero e privo di ideali, da cui i due protagonisti tentano una impossibile fuga verso una sfera più intima e negativamente personale, detto questo, seppur con i suoi limiti, grazie alla bravura di Cage ed alla storia coinvolgente, è un film che consiglierei decisamente. E' una bella storia d'amore ed un'apologia alla fuga dai dolori della vita, fuga spesso inconsapevole(Cage non ricorda, o almeno non vuole ricordare, cosa l'abbia spinto a bere). Ci troviamo davanti a due lampadine che si spengono nella città, per antonomasia, più illuminata del mondo. Due persone che decidono di perdere tutto in una città dove la gente di tutto il mondo vi si reca per vincere. Due vite giunte al punto di non ritorno (seppur percorrendo due binari diversi) che scelgono paradossalmente Las Vegas non per sognare ma per dare fine alla loro tragica esistenza.



Come qualcuno possa guardare Leaving Las Vegas e voler continuare a bere dopo è al di là della mia umana comprensione Il film è forse il miglior argomento cinematografico sul perché, come società, dovremmo rimanere iper-vigili su come romanticizziamo la moda del bere. È la rappresentazione più veritiera e onesta della straziante discesa dell'alcolismo mai commessa sullo schermo, ed è grazie alla performance cruda e ferocemente impegnata di Cage che possiamo comprenderne i suoi effetti. D'altro canto, (quella gran bionda di) Elisabeth Shue fino a quel momento era sempre stata venduta come "la bella ragazza della porta accanto" con ruoli tipo "The Karate Kid" e "Adventures in Babysitting", aveva bisogno di questo film per allontanarsi dallo stereotipo. Shue si spoglia, fa sesso con Cage e viene brutalmente violentata nel film, che le è valso una nomination all'Oscar come migliore attrice (giustamente). Hollywood non aveva mai visto Shue in questo modo, con questo film ha saputo prendersi la sua grande fetta in quello che è il cinema che conta (non solo al botteghino).

(John O'Brien si suicidò, sparandosi alla testa, due settimane dopo aver saputo che il suo libro, Via da Las Vegas, sarebbe stato adattato per il cinema. Il padre disse poi che il romanzo era probabilmente la sua lettera d'addio)

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