Anatomie d'une chute (2023) Anatomia di un matrimonio finito male

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Non so voi, ma questo è un film di cui avevo tanto sentito parlare ai tempi della sua uscita e che purtroppo mi ero perso al cinematografo e che ho sentito l'esigenza di recuperarlo in tempo brevi, anche perché resto comunque un grande affezionato del cinema dei nostri cugini, che ha sempre quel tocco in più in Europa quando si tratta di mettere in mostra determinati generi ormai sdoganati all'ennesima potenza dagli americani. Ovvio, partendo già dal titolo "Anatomia di una caduta" sembra di trovarsi davanti al ben più storico "Anatomy of a Murder" di Otto Preminger o in un film partorito dallla mente di Alfred Hitchcock tanto è il richiamo, nonostante sia comunque un eco superficiale con i lavori citati precedentemente, l'essenza rimane quella del thriller legale ma rappresenta un cambiamento rispetto ai precedenti film leggeri della regista francese; ed è inoltre la sua seconda collaborazione con Sandra Hüller dopo Sibyl. Agli americani (oltre che in Europa) il film è piaciuto sin da subito, anche perché è loro tradizione e zona comfort la visione di tale geelnere, partendo da dei classici courtroom drama come "12 Angry Men" di Lumet, "The Trial" di Welles, "Judgment at Nuremberg" di Stanley Kramer fino al più recente
"The Caine Mutiny Court-Martial" dello scomparso William Friedkin.


Né thriller né giallo, solo e unicamente dramma giudiziario con una struttura da opera teatrale, giocato sulla dualità della coppia in soggetto: il bilinguismo (una tedesca, l'altro francese), la bisessualità, il successo e l'insuccesso letterario. Una vivisezione emotiva e sentimentale, con tutti gli strumenti consentiti nell'aula di tribunale sulle possibili cause di una tragedia, tra le ipotesi più probabili e improbabili che si confrontano ed infrangono, continuamente tra difesa e accusa. Interessante la Triet, pochi film ma con sottotrame elaborate in modo intelligente. Ottima la parte investigativa di ricostruzione del fatto, come quella nell'aula di tribunale e tra le mura domestiche. Relazioni di coppia, genitorialità, colpe dei genitori, umane debolezze insomma, in tutto questo la Triet raggiunge il suo scopo come un missile. Ottima la prova di Sandra Huller (che quasi richiama le classiche bionde di Verhoeven, una scrittrice assassina rimanda subito a Catherine Tramell di "Basic Instinct) dove la sua Sandra viene fatta a fettine, esaminata in ogni suo comportamento (pure sessuale!), completano il restante cast pure maschere legislative (in cui spicca la prova di Swann Arlaud) e il bambino fornisce l'altra parte emotiva neutrale della storia. Da menzionare la presenza canina, davvero toccante anche se sullo sfondo ai fini della narrazione nonostante la sua importanza.




La fotografia di Simon Beaufils non è patinata ma funzionale alla singolarità degli interni, come la colonna sonora che nella ricercatezza di pezzi classici si permette di mettere una strumentale di un famoso pezzo di 50 Cent, rendendolo ancora più iconico di quanto non lo era già (l'incipit in questo fa scuola). In tutta sincerità il ritmo non sempre incalzantile può far storcere il naso a molti, ma se si entra con l'umore giusto la visione dell'idea prende gusto e rende ancora più rispetto alle normale premesse del genere. Il sottile stile che sfiora il documentario e che disseziona con fare originale le normali fasi di un processo (in suolo francese) e l'analisi intimista del rapporto complicato che può sorgere tra uomo e donna (con conseguenze devastanti) sono l'arma in più di questo film.





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