The Hunted (2003) La caccia all'uomo di William Friedkin


Siamo già nel nuovo anno appena inoltrato, ma subito la nostalgia per la dipartita di Friedkin si fa sentire, quindi dovevo capitare dalle sue parti anche per scoprire film che non avevo visto nella sua filmografia quindi ben venga "The Hunted" del 2003. Direi che a settant'anni, fare un film così chirurgicamente ricercato su un continuo inseguimento (marchio di fabbrica del cineasta in questione) poteva riuscire solo a Friedkin. Sin dall'incipit dei due personaggi ci viene subito spiegata la natura dei protagonisti: il primo una macchina letale omicida frantumato (nella mente) dalle brutalità della guerra in pratica un Rambo deviato (difatti lo sceneggiatore, Art Monterastelli, scriverà poi per Stallone il redivivo John Rambo conque anni dopo e non viene difficile capire il perché della scelta di Sly), anche se non del tutto compromesso nel cuore, il secondo un uomo in cerca della propria pace e protettore dei più deboli esperto nel corpo a corpo quanto nel rintracciamento sul campo. Nessuno dei due personaggi è inferiore rispetto all'altro, se non nelle motivazioni che li muovono o nei propri mezzi per raggiungere lo scopo.




Friedkin apre una parentesi sulla malattia mentale, poi ampiamente conclusa con "Bug", ma ricerca anche i risvolti del male che si insidiano nella mente dell'essere umano a contatto con qualcosa di feroce come la la guerra. Appena parte la caccia non si ha un attimo di sosta, tra ambiente boschivo e quello urbano, se non fino all'epilogo dopo una serie di scene d'azione minimaliste nella violenza quanto efficaci nel mostrarsi. Benicio del Toro offre come sempre un trasformismo dei migliori per il ruolo, il suo sguardo è proprio quello di un lupo ferito, invece Lee Jones regge il proprio peso divistico su un personaggio che ricalca molti altri suoi ruoli che gli hanno reso successo, inoltre troviamo Connie Nielsen, qui come più che degna attrice di supporto nella sua migliore decade cinematografica per il genere in questione. Non vi è azione bombastica Hollywoodiana, ma un esercizio di stile di pura guerriglia (si vedano le coreografie degli scontri corpo a corpo), in cui non si nota l'esagerazione stereotipata di quando gli esseri umani sono portati all'estremo della loro esistenza.




Il trauma può essere rintracciato, come un'impronta, se ne conosci i segni. L'incipit del film ne rivela la vera essenza, un tale nichilismo da campo da guerra ho avuto modo di vederlo in pochi (grandi) registi e la rappresentazione della guerra in Kosovo sono micidiali in tutti i loro minuscoli dettagli e aprono la pista alla causa delle azioni del protagonista. Si apre con il genocidio albanese, continua come un ibrido di "First Blood" + "The Fugitive", e poi culmina con Tommy Lee Jones che insegue Benicio Del Toro attraverso un paesaggio urbano e lo scontro all'arma bianca nei boschi (ottimo il lavoro fatto dai coregrafi Thomas Kier e Rafael Kayanan, con le loro suggestioni d'arti marziali filippine). Adoro davvero anche il modo in cui questo lavoro entra subito nell'azione, non perde molto tempo con le robe procedurali come la maggior parte delle pellicole di caccia all'uomo. Un concentrato sulla carne che viene perforata, sul sangue che fuoriesce dai corpi e su un sacco di inseguimenti. Quindi sì, è una specie di US Marshals: Rambo Edition. Ma penso che ci siano alcune cose importanti che lo distinguono dai suoi antecedenti. Uno è, ovviamente, l'impeccabile regia thriller di Friedkin, la sceneggiatura di questo film era circa di 70 pagine e Friedkin gestisce l'azione magnificamente, bloccando e montando per massimizzare allo stesso tempo tensione e comprensione. Ma penso che ciò che distingue davvero The Hunted sia la sua atmosfera: paranoica, oscura e spaventosa.


"The Hunted" è stato un gran ritorno di Friedkin dai tempi di "Vivere e morire a Los Angeles", redivivo dopo un decennio e mezzo più o meno perduto nel settore televisivo. Tre anni prima aveva realizzato "Rules of Engagement", un dramma giudiziario militare realizzato con competenza, con le quali condivide le apparenti preoccupazioni sugli effetti psicologici della guerra e sugli oneri imposti ai soldati americani chiamati a partecipare al progetto imperiale degli Stati Uniti. Ma laddove "Rules of Engagement" è melodrammatico, ipocrita e difensivo questo suo lavoro risulta dannatamente sporco, spaventoso e tragico.






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