Drugstore Cowboy (1989) La gioventù bruciata di Gus Van Sant




- I figli della tivù hanno sparato all'ultimo cowboy dei drugstore. -



Secondo lungometraggio del regista Gus Van Sant, il quale oltre a dirigere prende parte alla sceneggiatura a sei mani scritta con l'aiuto di Daniel Yost e dell'autore del Pasto nudo ovvero William S. Burroughs. Il film vanta la produzione di Nick Wechsler che più in avanti diverrà famoso per aver prodotto film come “Sex, Lies, and Videotape” e “The Player”. Il soggetto è preso dal romanzo autobiografico di James Fogle scritto in carcere (pubblicato in Italia da Elliot Edizioni nel 2008).Il film rappresenta uno spaccato generazionale ovvero quella gioventù bruciata post 70's, non che non sia più presente ma che è cambiata nel tempo, questo lo si evince anche dalle parole dello stesso protagonista quando si rivolge alla “generazione della televisione”.








Nella prima parte assistiamo alla descrizione dei personaggi, non che siano molto profondi a parte le figure del protagonista e del sacerdote Tom, dato che bene o male è una caratteristica dello stesso regista portare sullo schermo personaggi molto lineari e poco bidirezionali. Una pellicola molto atipica, che nello stesso tempo si discosta molto dai film di questo genere grazie anche alla sua “leggerezza” narrativa e un montaggio veramente originale quanto azzeccato (si vedano i viaggi del protagonista, sia quelli da fuori che da normale). La peculiarità della pellicola secondo me risiede (come menzionato prima) nel modo in cui la tossicodipendenza viene raccontata. La violenza è sostituita dal buonsenso e dalla voglia di cambiare vita, sentimenti che piombano sulla vita del protagonista praticamente per caso ma che lo segneranno inesorabilmente. Vi sono un po' di monologhi veramente interessanti anche riguardo al tema della tossicodipendenza che fanno riflettere anche sul modo di pensarla al riguardo.








Altra spina dorsale del film è il cast, in primis, un Matt Dillon ben calato nella parte (le ossa fatte in “Rumble Fish” e “The Outsiders” di Coppola ne sono l’esempio), il quale riesce a trasmettere sia le ansie che la rivalsa del personaggio mentre cerca una nuova vita man mano che la narrazione procede verso l'epilogo. Altra menzione va fatta per il ruolo di Burroughs, già l'introduzione del protagonista dice tutto: - Father Tom, he must have shot a million bucks in his arm. -, dove oltre a dei monologhi d'antologia regala anche una giusta alchimia con il suo status vivente trasmettendola allo stesso personaggio, il che regala un'aura mitologica alla sua figura. Altra ottima parte è fatta da James Remar che non cade nella banalità con il ruolo dello sbirro tutt'altro che cattivo o violento nei gesti, il resto del cast supporta benissimo Dillon, partendo da una buona Lynch passando per una giovanissima Graham e infine LeGross. La colonna sonora di Elliot Goldenthal se la viaggia dalla musica black fino al jazz, ambientandosi ottimamente con il degrado narrativo della storia e dei suoi protagonisti.






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