Prisoners (2013) Perdere la fede e diventare dei mostri


Sembra quasi una fortuna che la sceneggiatura di Aaron Guzikowski sia finita nella mani del regista Villeneuve, quasi come un segno che talvolta il ristagno di produzione sia anche la miglior via per cui un soggetto debba alla fine trovare il suo miglior scultore per essere definito. Inizialmente questa sceneggiatura (elaborata già nel 2009) doveva essere presa dal regista Bryan Singer, che comunque aveva denti per questo progetto, con Christian Bale e Mark Wahlberg (produttore allo stesso tempo) per poi finire nelle mani Antoine Fuqua con Leonardo DiCaprio, ma anche qui nulla di fatto. Solo Hugh Jackman dopo un ripensamento ritornò nel cast creativo nel quale alla fine si aggiunse Villeneuve come regista. 

La trama vien da sé: la famiglia Dover conduce una vita serena in una cittadina della Pennsylvania, ma durante i festeggiamenti per il Giorno del ringraziamento l'ultimogenita Anna, 6 anni, scompare nel nulla assieme a Joy Birch, 7 anni, figlia di amici di famiglia. Il padre di Anna, Keller, inizia le ricerche delle due piccole focalizzando la sua attenzione su un camper che sostava nella zona fino a poco prima della scomparsa.

Coinvolgente, penso basta questa parola per definirlo. Dieci anni dopo il neo-noir thriller "Mystic River" di Eastwood il cinema americano ritrova in Denis Villeneuve la stessa efficacia narrativa (nonostante le differenze) che aveva reso quel film un manifesto pulito di cosa sia l'arte del cinema applicata al genere. Villeneuve sembra plasmare lo stesso Eastwood di fine Novanta e inizio 2000 ma assieme ai Coen (in modalità seria) e dulcis in fundo nel Fincher d'annata. Un labirinto vero e proprio che non risparmia colpi di scena e che mette tutto al posto giusto in quanto indizi, vedere per credere. La fotografia di Deakins, le scenografie di Patrice Vermette e la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson fanno egregiamente il resto. Non dtupisce che questo primo film americano del regista canadese sia uscito assieme a un'altra perla che porta il nome di "Enemy" (produzione canadese e spagnola) e che in quanto qualità non vi sia differenza, quando il talento è palpabile.


Avendo citato il fratellastro "Enemy" viene impossibile non sottolineare la prova di Jake Gyllenhaal che ancora una volta mette in mostra il suo talento, geniale l'aver messo quel tic agli occhi in quanto caratterizzazione, con un detective davvero superlativo. Comunque è tutto il cast che brilla: Jackman non si risparmia, Maria Bello come sempre danza di recitazione nel genere thriller, Paul Dano ambiguamente titanico come suo solito, David Dastmalchian pazzo come sempre e poi Viola Davis, Terrence Howard e la mastodontica Melissa Leo. Questa è davvero l'arte di fare cinema.




Commenti

  1. Se non ti coinvolge questo, cosa altrimenti? Gran film.

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    1. Davvero, un fulgido esempio del genere nel cinema contemporaneo.

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