Valkyrie (2008) Colui che dimostrò al mondo che i tedeschi non erano tutti Nazisti


- Non si comprende il nazionalsocialismo... se non si comprende Wagner. -

Era dura per Bryan Singer (che qui riprende in ultima e definitiva trasposizione la sua tematica ricorrente del Nazismo) e Christopher McQuarrie riproporre "I Soliti Sospetti" formato Seconda Guerra Mondiale, quel piccolo classico neo-noir anni '90 era irripetibile. La scelta narrativa e di regia invece qui ricalca quella dei più classici thriller spionistici, in cui il pathos è sempre tirato come una corda di un violino. Si aggiunge poi la variabile della empatizzazione con dei Nazionalisti (non Nazi, eh) tedeschi che non è cosa di tutti i giorni per il pubblico Hollywoodiano, qui si capisce perché Singer abbia optato per una vena più eroica e un cast anglo-americano, se fosse stato fatto con soli attori tedeschi sarebbe stato allo stesso livello del successivo (un anno dopo) "Bastardi Senza Gloria" di Tarantino.

L'alchimia tra lo sceneggiatore e il regista si esprime molto bene, abbatte quella che è la conoscenza dei fatti storici ovvero il saper già come finiva senza cadere nel retorico/didascalico, la storia in un film storico è sempre un ostacolo se non sostenuta con un ritmo serrato di scrittura che ne valorizza la narrazione.

Avendo come premessa di una vicenda tristemente nota, il film di Singer (che come al solito conferma la sua bravura dietro alla telecamera) mette il cardine sulla figura del giovane colonnello, che mette da parte l’obbedienza per liberare la voce della coscienza senza perdersi nelle solite immagini e derivazioni sui campi di sterminio. Puntando tutto sulla meticolosa preparazione di una congiura concepita per mettere in pratica l’Operazione Valchiria (modificata dopo averla sottoposta al Führer): ossia il piano operativo che l’esercito territoriale tedesco aveva predisposto in caso di colpi di stato o di territori occupati, rivoltandolo contro le SS. La sceneggiatura in questa narrazione fornisce anche dettagli niente male, oltre alla pianificazione di tale colpo di stato, per esempio: lo zoom in che allinea vista/udito sul giradischi, mentre nell’aria si diffonde la "Cavalcata delle valchirie" di Richard Wagner con la famiglia Stauffenberg che si ripara nel bunker di casa dai bombardamenti alleati, il pianto di una stenografa quando riceve la comunicazione della morte del Führer diffusa dall’Alto comando, ma anche il saluto Nazista fatto dal monco Stauffenberg per evidenziare quanto abbia dato alla patria. La frase che i colpi di fucile gli strozzano in gola (“Lunga vita alla santa Germania”) resta come monito per comprendere e confidare negli uomini che riconoscono e combattono il male ma anche un aspetto storico fornito dalla dottrina dettata da Stefan George sulla Germania Segreta. Come tanti coraggiosi tedeschi fecero, cercando di estirpare il peggior tumore che il Novecento abbia messo a capo di una potenza mondiale.


Lo sviluppo di trama inoltre può vantare un Tom Cruise dannatamente in parte, una delle sue ultime prove prettamenti attoriali, prima della deriva Stunt/action, veramente degne di nota come protagonista nei panni del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. Il cast di contorno Britannico è un ulteriore valore aggiunto: Branagh, Nighy, Wilkinson (il più reale tra i personaggi) e Stamp, a cui va aggiunto l'ulteriore supporto degli interpreti europei come la splendida Carice van Houten o Thomas Kretschmann, Waldemar Kobus e Matthias Schweighöfer. Il tutto è rafforzato dalla fotografia di Newton Thomas Sigel, dai costumi di Joanna Johnston, dalle scenografie del duo Kilvert/Lumb e dalla più che mai viva colonna sonora di John Ottman (artefice anche del montaggio). Un film che presenta una leggera patina Holywoodiana, ma che non manca comunque di mettere in scena un fatto storico nel modo in cui solo il cinema può fare.



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