La dama rossa uccide sette volte (1972) La maledizione della famiglia Wildenbruck
Puro giallo all'italiana questo diretto Emilio P. Miraglia e scritto assieme a Fabio Pittorru. Tra i suoi fratelli e sorelle spicca per via di una scelta molto gotica nell'ambientazione della storia, praticamente un antico castello e di conseguenza un fantasma (che non è un fantasma). Anche se non metterei l'assassino qui nel Monte Rushmore dei serial killer del cinema, il suo aspetto semplice ma sorprendente e il suo abbigliamento la rendono immediatamente memorabile (quasi un antesignano di Ghostface).
Lo stesso si può dire della pittura maledetta (Argento aveva fatto la stessa cosa, due anni prima, con "L'uccello dalle piume di cristallo"). Inoltre, in qualche modo, sono riusciti a far sì che quella risata non sembrasse fastidiosa come in certi altri film. Gli omicidi, per la maggior parte, sono tutte pugnalate convenzionali, la fotografia è superba; riesce davvero bene a mantenere questo aspetto inquietante. Il mistero celato dietro alla lama di un coltello che affonda violentemente nelle radici della famiglia aristocratica Wildenbrück, perseguitata da una maledizione secolare che pende sulle loro teste inesorabilmente.
Bello come la leggenda, se innestata bene nella storia di un film possa regalare una tale aura evocativa complice anche il periodo di produzione che ha regalato perle a non finire per il genere (sul suolo italiano). Omicidi, sotterfugi, tradimenti, droga, sesso e chi ne ha più ne metta all'interno di una trama che rispetta tutti i canoni di un genere e che regala anche qualcosa in più, tutto orchestrato da una evocativa colonna sonora elaborata da Bruno Nicolai. Gran cast di donne adatte al genere: la sublime Barbara Bouchet femme fatale di quella decade, Maria Pia Giancaro, Marina Malfatti e una sibillina Sybil Danning sono tutte complici di questo gioco al massacro sottile come la lama di in pugnale.
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